Togo: Le femministe sfidano la cultura dello stupro

Il Salon du Cinema au Féminin è un festival che punta ad evidenziare il lavoro delle donne nel cinema. Lo spettacolo, su iniziativa della regista ivoriana Rita Ambeu, si è svolto, per la prima volta, nel novembre 2021 in Costa d’Avorio. Quest’anno, l’edizione togolese si svolge per la prima volta dal 17 al 19 novembre. Il festival mira a mobilizzare i professionisti del cinema a guardare film, discutere ed esercitarsi sui film fatti dalle donne o il cui focus principale sia una donna.


Nell’ambito dei lavori del festival, una gara intitolata “Of courts” punta a dare priorità alla creatività nella produzione delle registe e delle attrici. È una gara per cortometraggi di 3 minuti al massimo prodotti e/o diretti da una donna o il cui protagonista centrale sia una donna. È stata formata una giuria per selezionare i film ammessi al concorso.
Tra le pellicole selezionate c’è il corto intitolato Mea Culpa, che si traduce in “Colpa mia”, della regista Estelle Akpaki. Akpaki è una regista del Togo, e la storia racconta di una ragazza ventenne di nome Isabelle che decide di fare il suo “mea culpa” attraverso una lettera indirizzata ai suoi genitori inseguito al suo stupro. Il racconto suggerisce che il personaggio principale Isabelle sia colpevole del suo stesso stupro perché è ossessionata con i social media e con tutto ciò che posta.
Nella sequenza, si vede una giovane donna violentata da due giovani uomini in un vicolo. Isabelle ammette la sua colpa per lo stupro. Una voce fuori campo riconosce che lo stupro è un prezzo per la sua ossessione per i social media. Lei dice: “Volevo essere un’influencer; pubblicavo video provocatori; sì, lo so che sono ossessionata con coloro che mi seguono; ho attirato una pessima attenzione su di me.”
Per come è diretto, il film promuove la cultura dello stupro. La cultura dello stupro comprende qualsiasi atto, parola e/o comportamento che minimizza, normalizza o incoraggia lo stupro. Questo film punta il dito contro l’uso dei social network da parte di una giovane donna per l’atto criminale commesso contro di lei. Per di più, rappresenta la vittima che cerca perdono e che si sente colpevole di un crimine che non ha commesso.
Questo film giunge in un momento in cui ragazze e giovani donne affrontano ancora più violenza di genere online, e molte società, inclusa quella in Togo, usano la forma della morale pubblica per controllare i corpi delle donne e limitare la loro espressione. È inaccettabile che un tale film sia stato ammesso e che gli venga dato spazio in un festival del genere senza una riflessione sull’impatto che avrà su molte giovani donne e ragazze in Togo che già sopportano minacce e che sono vittime di violenze sessuali.
In Togo, nonostante l’esistenza di un sistema legale che punisce lo stupro, è ancora molto difficile per le vittime denunciare e ottenere giustizia a causa della persistente cultura dello stupro nella società e nei sistemi giudiziari. Lo stupro è un reato punibile dalla legge, e chiunque può essere vittima di stupro. Gli articoli dal 211 al 216 del Codice Penale del 2015 del Togo espongono varie sanzioni per lo stupro come una sentenza tra i 5 e i 30 anni di detenzione e un’ammenda da 2.000.000 a 20.000.000 di franchi CFA.
Un potere di genere diseguale e la dominazione patriarcale espongono le donne e le ragazze ad un rischio maggiore, e i dati disponibili mostrano solo uno spiraglio del problema. Secondo EDST III, un terzo (32%) delle togolesi sono state vittime o di violenza fisica o sessuale almeno una volta dal compimento del quindicesimo anno di età, di cui 22% hanno fatto esperienza di violenza fisica, 7% di violenza sessuale insieme alla violenza fisica, e il 3% solo violenza sessuale. Delle vittime di questa violenza, il 37% ha cercato aiuto e il 12% ha parlato con qualcuno senza cercare aiuto. Quest’aiuto è richiesto principalmente alla famiglia – sia alla propria famiglia (66%) che a quella del marito (35%). Solo il 7% delle vittime cerca aiuto presso i tribunali. Così il sistema giudiziario è stato usato solo per il 7% dei casi conosciuti.

Questo film rinforzerà solamente questa situazione e annullerà i progressi raggiunti duramente in merito ai diritti delle donne e delle attiviste femministe.

Non ci è voluto molto affinché questa violenza si affermasse. Alcuni commenti di utenti di Facebook già mostrano il tipo di danni che una tale produzione è in grado di fare. Alcuni commenti hanno applaudito e si sono congratulati con la produzione. Grazie alla pressione delle femministe togolesi e oltre, la pubblicazione è stata rimossa da Facebook.
Al momento non si sa se sia stata Facebook o i promotori ad aver provveduto alla rimozione. Tuttavia, il film resta in concorso fino ad oggi.
Non è abbastanza rimuovere il film dai social media; chiediamo agli organizzatori del festival, promotori e collaboratori di ritirare la pellicola dalla competizione. Devono prendere le distanze da una produzione che assolve i trasgressori di siffatti crimini odiosi mentre danno la colpa alle vittime. Un mea culpa in qualsiasi forma non dovrebbe essere attribuito alla vittima di uno stupro. Lo stupro non può mai essere giustificato.

Qualsiasi sia il punto di vista che il regista abbia adottato, in ogni caso questo non può costituire una base per un’analisi sociologica e/o legale perché il mero fatto che l’affermazione presupponga la possibilità di una colpevolezza da parte della vittima serve a mettere a tacere le vittime e a incoraggiare gli stupratori e la cultura dell’apologia dello stupro. Finzione o meno. Lo storytelling, soprattutto al cinema, resta un mezzo potente che può portare progresso sociale oppure contribuire al regresso. I registi e altri artisti dovrebbero rompere i silenzi delle società e non impegnarsi nel mettere il silenziatore alle vittime.
Non solo in Togo, ma in tutto il continente, la sicurezza delle ragazze e delle donne resta una sfida e continuiamo a chiedere alle nostre società e governi che venga garantita. Dobbiamo continuare a restare attenti circa il contenuto avanzato che sostiene la violenza e le culture dell’impunità. Chiunque deve sapere che la vittima non è mai colpevole dell’aggressione subita. L’aggressore deve risponderne. Ora più che mai, abbiamo bisogno di comunità che proteggono la dignità e la voce di tutte le ragazze.

Floriane Acouetey è una femminista togolese, membro della comunità “les negresses feministes” del Togo. È anche una specialista di genere su un progetto del Ministero della Difesa togolese.

Fonte: africanfeminism.com

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.