Coca-Cola e Rosarno: il report originale

Rosarno è di nuovo in prima pagina sul quotidiano britannico The Independent che riprende un’inchiesta del The Ecologist sui migranti a Rosarno e sulla sua industria agrumicola sull’orlo del collasso.Questo qui sotto è il video report di The Ecologist Video Unit:

La società produttrice della Fanta sta ricevendo pressioni per migliorare le condizioni e i pessimi salari dei migranti africani che raccolgono le arance nel meridione d’italia.

Andrew Wasley da Rosarno

Probabilmente è il peggior posto dell’Europa occidentale. Una baraccopoli fatiscente, con una strada rumorosa da un lato, una linea ferroviaria dall’altro, e un rigagnolo d’acqua dall’aspetto stagnante che scorre nelle vicinanze. Lo stesso accampamento consiste di non più di una serie di tende e di qualche costruzione abbandonata.

Dietro la rete metallica, ci sono dei fuochi in mezzo ai cumuli di spazzatura – bidoni di latta per l’olio abbandonati, bottiglie di plastica, resti di cibo e altra spazzatura non identificabile. Il fumo di questi fuochi si attacca agli occhi.

Mentre il sole d’inverno va a dormire, la scena si fa quasi apocalittica; decine di silhouette di migranti illuminati dalle fiamme si affollano intorno a noi, cucinando, tagliando legna per il fuoco, gridando, riscaldandosi.

Sono africani, dal Ghana, Burkina Faso, Costa d’Avorio, e questo squallido campo, che i medici definiscono peggiore dei campi di rifugiati delle zone di guerra, ospita almeno 200 migranti itineranti.

I migranti si trovano qui a Rosarno, in Calabria, sud Italia, per raccogliere i frutti delle colture intensive di agrumi della regione.  Ogni inverno, circa 2000 migranti arrivano in questa piccola città agricola per cercare qualcosa con cui vivere raccogliendo arance che finiranno in vendita sui banconi dei mercati e nei supermercati, oppure come succhi di frutta o come concentrati usati nella produzione di bevande.

Tuttavia questi prodotti potrebbero essere alla base di una vita fatta di squallore e di sfruttamento per coloro che lavorano alla base della catena produttiva. E’ questo ciò che rivela un’inchiesta di The Ecologist.

Alcuni attivisti si stanno appellando alle multinazionali del settore alimentare e delle bevande che acquistano agrumi dalla regione affinché risolvano il problema. La più importante associazione dei coltivatori italiani ha comunicato di aver scritto a diverse società, tra cui Coca Cola che produce la Fanta, lamentando che i prezzi pagati per i concentrati di arance sono ingiusti e che sono causa di condizioni riprovevoli.

Coca Cola nega qualsiasi errore e afferma che il suo diretto fornitore calabrese ha ricevuto un certificato di salute da un controllore indipendente lo scorso maggio. Tuttavia ammette che la natura della catena produttiva è tale per cui non è in grado di controllare ogni fattoria o consorzio che produce il succo comprato dal suo fornitore.

Molti migranti africani vivono in Italia illegalmente dopo aver attraversato il Mediterraneo in condizioni terribili per cercare una vita migliore o per assicurarsi un lavoro con cui mandare dei soldi alle loro famiglie.

Molti si spostano tra le più importanti regioni agricole, Puglia, Campania, Sicilia, Calabria e Basilicata, cercando un po’ di lavoro durante le stagioni della raccolta di arance, limoni, kiwis, olive e meloni. Si stima che siano all’incirca 50.000 migranti, principalmente africani e pochi europei orientali che si spostano per l’Italia in questo modo.

Squallore e ghetti

Guadagnano all’incirca 25 euro per una giornata di lavoro negli aranceti calabresi. Spesso sono reclutati da caporali che agiscono per conto dei coltivatori speculando sulla fornitura di lavoro a basso costo. I caporali, sia africani che italiani, possono chiedere soldi ai lavoratori per il trasporto andata e ritorno dagli aranceti, in genere dai 2,5 ai 5 euro, e qualche volta mettono anche qualche altra tassa sugli stipendi pagati dai coltivatori.

Molti migranti a Rosarno e nelle campagne circostanti vivono in condizioni disumane, in costruzioni abbandonate o in ghetti alle porte della città. Non esiste elettricità o acqua corrente. In molti casi non c’è un vero e proprio tetto.

Nel ghetto più importante della città, molti lavoratori sono costretti a dormire all’aria aperta anche d’inverno, dice Solomon, un migrante ghanese che ha vissuto qui due mesi.

‘Le condizioni non sono buone, lo puoi vedere,’ dice a The Ecologist, indicando il caos del campo che esiste intorno a noi mentre lo visitiamo. Solomon dice di vivere in Italia da tre anni, a Napoli prima di Rosarno, ed è venuto per ragioni economiche e finanziarie.

Un altro migrante, che vuole rimanere anonimo, dice di essere venuto dal Ghana perché qui c’era lavoro e soldi da guadagnare. “Non aveva idea” che avrebbe vissuto così.

Pacchi di cibo di alcuni attivisti locali arrivano mentre siamo lì: pasta calda da un ristorante locale, un po’ di cibo in scatola e altre pietanze. Un migrante si mette a disposizione per distribuire le provviste: di sicuro non abbastanza per tutti ma è pur sempre qualcosa.

Quando siamo tornati il giorno seguente alcuni dei migranti non erano felici della nostra presenza: dicevano di essere stanchi dei giornalisti che li fotografano in quelle condizioni. Uno lancia una pietra. Inizia una confronto duro, la gente si raccoglie attorno, gridano in italiano, in francese, in inglese. La situazione si calma solo grazie all’intervento della nostra guida e accettiamo di andarcene.

Alcuni dei migranti sono ubbriachi. Uno di loro, al di fuori dell’entrata del campo, tira su la gamba del suo pantalone per mostrare una ferita: dice che quella gli impedisce di trovare lavoro. “Ho due bambini  a casa [in Africa], non ho documenti e adesso questa [la ferita]… cosa posso fare?”

Molti vogliono tornare a casa ma sono intrappolati: senza soldi, senza documenti e senza possibilità di scappare. In uno slum vicino, Mambure è uno dei venti lavoratori che vivono in una fattoria abbandonata. Originario del Burkina Faso, ha passato nove anni in Italia. “Ogni giorno ci entriamo [a Rosarno]  per aspettare un lavoro per raccogliere arance,” dice.

‘Al momento però non c’è lavoro, è difficile fare un po’ di soldi… tutti noi qui non abbiamo un lavoro,” dice. Mambure aggiunge anche che nella stagione della raccolta delle arance di quest’anno è riuscito a fare “meno di un salario mensile”. “Ho solo una cosa da dire”, conclude, “voglio andare a casa”.

I lavoratori non vogliono che The Ecologist veda le condizioni che sono costretti a sopportare all’interno della fattoria.

Pochi chilometri più avanti, tuttavia, c’è un’altra casa cadente che fino a poco tempo fa ospitava un gruppo di migranti. Ci sono pentole e padelle, pacchi vuoti di cereali e confezioni di cibo sparse per il pavimento di pietra. C’è un angolo che doveva servire da cucina improvvisata. E’ sporco. Al piano di sopra, vestiti, letti e spazzatura sparsa per la stanza che evidentemente è stata usata per dormire. All’esterno un materasso è stato gettato in una fossa.

All’incirca la metà dei lavoratori stagionali di Rosarno, compresi i migranti dell’Europa orientale che vengono nella zona per cercare un impiego, vivono in case affittate, organizzate da gangmasters o attraverso singoli proprietari di case. Anche qui le condizioni possono essere pessime, dicono alcuni gruppi, con molti migranti che vivono in appartamenti stracolmi.

Lavoro duro

Per coloro che trovano un lavoro durante il periodo annuale della raccolta, le condizioni possono essere difficili e la paga bassissima. I migranti guadagnano in genere circa 25 euro per una giornata di lavoro. Può essere di meno o di più dipende dall’agricoltore, dal prezzo delle arance sul mercato, e dalle tasse fatte dai caporali per il trasporto e per altri “servizi”.

In una fattoria visitata dal The Ecologist, una mezza dozzina di migranti sta lavorando negli aranceti, raccogliendo i frutti. Alcuni stanno in piedi sul terreno, altri si sono arrampicati sugli alberi, poi riempono le casse e le impilano per chi verrà a prenderle.

Sogo parla mentre raccoglie. Ha 28 anni e viene dal Mali. Dice che anche se il lavoro è difficile è riuscito a risparmiare qualcosa per contribuire a costruire una casa nel suo paese.

“Ho vissuto in Italia per 10 anni. Se la produzione è buona allora riusciamo a farci pagare,” aggiunge. Il migrante dice di aver passato il primo anno in Italia nel “ghetto”, nello slum di Rosarno, anche se ora vive in un appartamento in città.

Non ha mai pensato di restare in Italia per così tanto tempo. “La mia famiglia è composta di 30 persone e all’inizio, 10 anni fa, il mio piano prevedeva che io ritornassi a casa,” dice. “Adesso è difficile guadagnare [abbastanza] da mandare soldi a casa [per aiutarli]”.

I lavoratori in questa fattoria non vogliono confermare quanto vengono pagati o se ci siano caporali coinvolti. Il contadino per il quale lavorano, Alberto Callello, che produce principalmente arance da tavola e alcuni frutti destinati ai processi industriali, sostiene che i lavoratori hanno una paga ragionevole. “25 euro è il salario minimo, è uno stipendio povero ma è un’economia povera. Povera ma non sfruttatrice”, dice.

Callello, che fa parte di una cooperativa che rappresenta 8 o 9 contadini, e che attualmente sta cercando di convertirsi alla produzione organica, se la prende con l’economia della produzione delle arance e con le condizioni della grande catena di distribuzione.

Dice che il prezzo di mercato è sceso al di sotto del costo di produzione: “Prendo 7 centesimi al chilo per le arance industriali (usate per i concentrati) ma ho bisogno di 8 centesimi al chilo per pagare i lavoratori, quindi c’è un paradosso”. E aggiunge: “Alla fine della filiera c’è uno scontro con la povera gente”.

Il contadino vende le sue arance ad un impianto locale che a sua volta vende a società di produzione più grandi che a loro volta lavorano i frutti per le società di alimenti e di bevande più importanti.

Aiuto medico

Di ritorno a Rosarno, i volontari di Emergency operano con la loro clinica mobile due volte alla settimana: si tratta di un camion ristrutturato appositamente per le attività di monitoraggio e trattamento per interventi medici di base con gli strumenti necessari

I volontari dicono di prevedere di visitare 40 pazienti stasera: “Arrivano con problemi ai muscoli e alle ossa, problemi respiratori, e avrebbero bisogno di specialisti come un dentista”, dice il dottor Luca Corso.

“Abbiamo iniziato a vedere, soprattutto all’inizio di gennaio, alcuni casi che possono essere collegati ad altre attività lavorative; principalmente l’uso improprio di pesticidi e fungicidi usati durante la stagione”, afferma il dottore.

“Per lo più ci sono casi di fenomeni irritanti per esempio dermatiti nelle parti a contatto cioè le aree più esposte come le mani e il viso, o la congiuntivite perché gli occhi sono esposti”.

Angelo Moccia, manager operativo della clinica, dice che le condizioni qui sono peggiori di quelle riscontrate in Congo. Andrea Freda, infermiera della clinica, aggiunge: “Le condizioni qui non sono molto diverse da quelle dell’Afghanistan.”

Sebbene ufficialmente gli ospedali italiani dovrebbero offrire delle cure ai migranti – anche a coloro che sono entrati nel paese illegalmente – ci sono stati casi di lavoratori che si sono visti rifiutare le cure, secondo gli operatori sanitari. Senza contare i migranti che hanno avuto paura di chiedere aiuto perché temevano di essere rinviati ai campi d’internamento.

Medici Senza Frontiere in passato aveva risposto alla crisi distribuendo kit di emergenza igienica contenenti un sacco a pelo, un sapone, un dentifricio e una pasta dentifricia. In un rapporto il gruppo ha descritto le condizioni in sud Italia semplicemente come “l’inferno”.

All’inizio del 2010 la situazione è migliorata per un breve periodo dopo l’intervento delle autorità a seguito del ferimento a colpi di pistola di due migranti a Rosarno: l’incidente aveva provocato una sollevazione di massa e le rappresaglie dei vigilantes locali. Scioccati dalla ferocia della violenza, e con le immagini dei disordini mandate in onda in tutto il mondo, le autorità hanno trasportato molti migranti fuori dalla cittadina per la loro incolumità. Molti degli slum più grandi sono stati demoliti.

I lavoratori, tuttavia, sono ritornati velocemente e le condizioni sono peggiorate. In risposta, le autorità hanno preparato un campo provvisorio per alcuni dei migranti.

The Ecologist ha avuto l’opportunità di visitare una piccola “tendopoli” costruita vicino un impianto industriale alle porte della città. Il campo, per quanto primitivo, ospiterà sei migranti in ogni tenda, ognuna delle quali equipaggiata con letti, luci e riscaldamenti. I gabinetti si trovano all’esterno. Un accampamento simile si potrebbe trovare in una zona di guerra o dopo una catastrofe naturale.

In un terreno vicino, gli amministratori locali ci mostrano un campo permanente costruito di recente. Diciotto container ospitano fino a 108 migranti. C’è un’infermeria dove un dottore fa le visite una volta a settimana, una lavatrice, e ogni cabina ha due stanze, un bagno e una cucina.

I migranti riconoscono che la vita nel campo è meglio che nel “ghetto”, tuttavia non intravedono una facile via d’uscita. “E’ un grosso problema”, dice Daniel di 28 anni, “Come fai a tornare a casa?” Dopo essere stato detenuto in un campo in Libia, dopo aver lasciato il Ghana, appena rilasciato si è imbarcato per l’Europa. La barca però si è incagliata contro le rocce in Sicilia. “Tre migranti sono annegati… dopo che abbiamo toccato terra la polizia ci ha soccorso.”

Elisabetta Tripodi, sindaco di Rosarno – che è costretta a vivere sotto protezione 24 ore su 24, questo è un paese di Mafia – ci dice che ci sono dei progetti per aumentare il numero di letti nei campi a 150. Tripodi riconosce che il problema migranti è uno scandalo – un male per la città e per coloro che ne sono coinvolti: “Il più grande problema riguarda l’inclusione – stanno solo pochi mesi, arrivano e partono, arrivano e partono.”

Prezzi ingiusti

L’Italia è uno dei più importanti produttori di agrumi, vengono coltivati circa 3,6 milioni di tonnellate su circa 170.000 ettari di terreni. La Calabria è la seconda area più importante per la coltivazione delle arance e nel 2009 ha prodotto più di 870.000 tonnellate. La maggior parte delle arance coltivate a Rosarno sono a buon mercato, destinate alla produzione industriale per essere processate per i concentrati.

Il settore delle arance in Italia si trova ad affrontare un forte competizione da parte di altri paesi produttori come il Brasile, la Cina, gli Usa, il Messico e la Spagna. Secondo Pietro Molinaro della Coldiretti Calabria, la sezione regionale della più importante associazione di contadini italiani, la competizione con l’estero insieme ai prezzi bassi pagati dalle più importanti società hanno provocato il fatto che la produzione di arance è diventata insostenibile per molti contadini. Sono, letteralmente, “spremuti”, dice.

“Questa zona sta affrontando un grave problema: il prezzo che le grandi società pagano per il succo non è equo”, dice. “In fin dei conti costringono le piccole industrie della zona, quelle che spremono le arance e producono il concentrato, a sottopagare il materiale grezzo”.

Gli stessi contadini dicono che questo è il motivo per cui si rivolgono alla manodopera a basso costo dei migranti: “i giovani italiani non vogliono lavorare nei campi… l’unico modo è di usare i migranti a causa dei bassi salari connessi alla raccolta”, dice Alberto Callello.

Molinaro crede che sia questa situazione che ha fatto scatenare le violenze nel 2010. “Questo sistema è la causa delle rivolte di Rosarno di due anni fa. I media internazionali hanno mostrato solo il razzismo, le tensioni sociali, non la vera ragione…”, dice.

I coltivatori sostengono che l’attuale tipo di catena di produzione delle arance, in cui i produttori si riforniscono da una serie di cooperative e di contadini, e il largo uso di lavoratori migranti, fanno sì che sia quasi impossibile per le società che si riforniscono nella regione evitare le “arance sporche”.

Coldiretti Calabria ha scritto l’anno scorso a tutte le società che comprano arance dalla Calabria, compresa Coca Cola, sottolineando i prezzi scorretti per le materie prime. Una situazione, dice, che causa in parte spiacevoli condizioni per i lavoratori. Il gruppo ha fatto sapere di non aver mai ricevuto una risposta.

Coca Cola ha detto che, per quanto in sua conoscenza, la lettera mostrata da The Ecologist non è stata ricevuta dai suoi uffici. La società ha detto che l’indirizzo era sbagliato e che si riferiva ad un altro prodotto dell’azienda.

Coca Cola promuove la sua Fanta in Italia sottolineando il fatto che si tratta di arance italiane al “100 per cento”. L’azienda ha confermato che si rifornisce in Calabria e ha aggiunto che il suo fornitore ha ricevuto un certificato sanitario da un’autorità indipendente lo scorso mese di maggio. La stessa ha ammesso che la catena di produzione è tale che non è in grado di controllare ogni fattoria o ogni consorzio che porta il succo al suo fornitore.

Non ci sono prove circa eventuali violazioni o cattive pratiche della società o dei suoi fornitori diretti.

In un dettagliato documento, l’azienda ha scritto: “Abbiamo rivisto l’archivio dei nostri controlli e abbiamo scoperto che la nostra ispezione più recente sui nostri fornitori di succo nella zona di Reggio Calabria risale a maggio 2011. Abbiamo confermato che nessuna delle ipotesi sollevate è stata riscontrata durante quell’ispezione indipendente e imparziale. La maggior parte del succo che ci procuriamo da quell’area è usata in prodotti per il nostro mercato italiano.

“Il nostro fornitore è un’azienda adibita alla lavorazione del succo che riceve la materia prima da consorzi o da gruppi che comprano da molti coltivatori. Sebbene non possiamo controllare ogni consorzio e ogni contadino indipendente, il nostro fornitore possiede dichiarazioni da un ampio numero di consorzi che sostengono di rispettare le leggi italiane sul lavoro. Sebbene incoraggiamo il rispetto dei diritti umani e le buone pratiche nei posti di lavoro lungo tutta la catena produttiva, i nostri controlli sono limitati solo ai nostri fornitori diretti” continua il documento.

L’azienda ha aggiunto che è “una ferma sostenitrice dei diritti umani” e ha indicato diversi esempi tra cui dei workshops sul lavoro minorile e sul traffico di esseri umani.

A Rosarno, mentre si sparge la voce sulle tendopoli, molti migranti cercano di scoprire come, e quando, possono trasferirsi. Nonostante ciò, restano la rabbia e il risentimento per il trattamento che ricevono e per le condizioni intollerabili che devono sopportare.

Diallo, un guineano, che si è dato molto da fare per sollevare la causa dei raccoglitori di arance con i politici e con i media, è esplicito: “io dico loro, non siamo criminali, io sto lavorando, loro ci stanno sfruttando. Non abbiamo nessuno che ci aiuta… [questa è]  apartheid, colonizzazione, colonizzazione silenziosa, tacita schiavitù. Non c’è futuro.”

Nota: alcuni nomi sono stati cambiati

Additional research & reporting: Gianluca Martelliano

 

Fonte: theecologist.org

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