È nero il giacinto

Non era il profumo del giacinto che Amid sognava
nel suo quarto di notte assopito
palme in soccorso
palme ai venti selvatici un po’ uguali a quelli di Calabria
il po’ ché lui rischiasse di pensare
agli agrumi appesi tra le foglie
come gris gris portafortuna per una dignità
da vantare al suo paese essicato come foglia di tabacco
al sole dai confini con fucili.
Non lo racconterà a casa il bracconaggio
di uomini a fiutare la fiera, la pantera
che osava fare del fiato stanco la parola.
Com’erano?, chiederebbe la madre alla busta di stracci
tornata zitta ma truccata di lusso di marchio occidentale.
Com’erano?, chiederebbero i nipoti
le mani sulle orecchie
e sul destino di non poter mai abbandonare
il luogo in cui ha diritto al non ritorno
perfino il migrare di un uccello.
Amid respira a stento e tace l’ira giusta, la rovina
di arance destinate a somigliare
ai seni d’ogni donna nera con creatura
tace del cacciatore di piccola statura analfabeta
che mai neppure era riuscito
ad insegnargli la lingua per esprimersi con senso,
cacciatori senza antenati sepolti in terra di Calabria
se spersi in camposanti con canguri
o di ebbri a tango d’Argentina,
cacciatori con carretto per somari parcheggiato
perfino sulle zebre di un asfalto che fece male
alla faccia premuta a terra con un piede,
Amid non la racconterà la miseria intellettuale sul miraggio
no
sul diritto
no
sul miraggio
per una patetica cenciosa Rosarno
per la prima volta nella Storia a fare voce grossa
tra i fumi della merda degli equini, il marcio degli agrumi,
il culo alla camorra, la fame inverminata: con che vanto?
Non li racconterà a nessuno questi giorni di poveri in battaglia,
li getterà in un pozzo asciutto assieme alla sua busta da viaggio,
saprà probabilmente amare la bellezza di un nero di giacinto
quando il 27 di gennaio il mondo mentirà alla sua Memoria.

Primi giorni del 2010 – i fatti di Rosarno (Italia) che hanno umiliato l’uomo.

S.D.M.

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