Una nazione piange la vittima dello stupro in carcere

Non molto tempo fa, durante un giorno caldissimo nella capitale somala Mogadiscio, devastata dalla guerra, un proprietario di un’emittente radiofonica alto, magro e occhialuto, mentre passava un po’ di tempo a casa sua, nel distretto di Wadajir, riceveva una chiamata da Lul Ali Osman, una presunta vittima di stupro, madre di cinque figli, che aveva intervistato quattro giorni prima, il 10 gennaio.

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Giornalisti somali protestano a Mogadiscio per l’arresto dell’imprenditore tv Abdinur Ibrahim e della vittima di stupro Lul Osman. Foto/ ABUKAR AL BADRI NATION MEDIA GROUP

Il proprietario della radio, Abdiaziz Abdinur Ibrahim, portava impazientemente il ricevitore all’orecchio, sperando che chi chiamava lo mettesse in contatto con altre vittime di stupro.

Qui comincia il racconto su una vittima di stupro con una complessa serie di personaggi, come in un romanzo russo.

Con grande dolore e allarme, Ibrahim constatò che al telefono non era la signora Osman; dall’altra parte c’era la voce del capo del Dipartimento indagini penali della Somalia (CID), l’alto e baffuto colonnello Abdullahi Hassan Bariise, un uomo temuto da ogni giornalista a Mogadiscio.

Venne fuori che il CID aveva arrestato la signora Osman proprio quel giorno in seguito alle notizie riportate dalla stampa di un aumento dei casi di stupro nei campi di Mogadiscio destinati agli sfollati interni (IDPs) perpetrati dalle forze di sicurezza.

Dopo aver incarcerato la sig.ra Osman, il CID aveva usato il suo telefono per rintracciare Ibrahim, il presunto intervistatore della signora.

Colleghi allertati

Il Col Bariise disse a Ibrahim, che lavora come corrispondente per la radio umanitaria Ergo di Nairobi, fondata dalla Cooperazione allo sviluppo Svizzera (SDC), di recarsi prontamente alla sede del CID.

Ibrahim aveva il presentimento che non era stato invitato per una conferenza stampa o per la solita riunione con funzionari di governo.

Così allertò i suoi colleghi circa la chiamata e il suo itinerario, nel caso in cui qualcosa fosse andato storto.

Al suo arrivo al quartier generale del CID nel quartiere Hodan di Mogadiscio, non lontano da casa sua, il preoccupato e ansioso giornalista incontrava Lul Ali Osman, la madre 27enne che sarebbe stata ripetutamente stuprata nell’agosto del 2012 da cinque agenti di sicurezza del governo.

Insieme alla signora Osman nell’ufficio del capo del CID c’era un’altra donna non identificata, la stessa donna che aveva fatto incontrare per la prima volta Ibrahim e la signora Osman quando stava prendendo informazioni per il suo articolo.

La signora Osman aveva sostenuto che, mentre era impegnata nei suoi lavori quotidiani preparando da mangiare per i suoi bambini, gli uomini in uniforme, minacciandola con una pistola, la portavano in una scuola abbandonata e la violentavano.

A quel tempo, aveva partorito da poco il suo ultimo bambino ed era nel periodo dei 40 giorni successivi al parto, che le donne musulmane normalmente osservano. Stava ancora allattando.

In base a un rapporto della National Union of Somali Journalists (NUSOJ), interrogato dal Col Bariise, Ibrahim avrebbe ammesso di aver intervistato la signora Osman e per questo era stato arrestato immediatamente senza ulteriori domande.

Tuttavia non era l’unico giornalista convocato presso la sede del CID in quel movimentato giorno del 10 gennaio 2013.

Omar Faruk, il corrispondente dalla Somalia del canale arabo di Al-Jazeera, veniva rilasciato pochi momenti prima, appena finito l’interrogatorio sui suoi collegamenti con il canale inglese di Al-Jazeera.

Il CID stava seguendo le notizie riportate sui media che accusavano i soldati governativi di complicità nell’aumento dei casi di stupri nei campi di Mogadiscio destinati agli sfollati interni.

In una notizia pubblicata da Al-Jazeera, una donna, che viveva nel campo di Mogadiscio ovest, diceva di essere stata stuprata da sette uomini armati in uniforme governativa nel dicembre 2012.

Estremamente imbarazzante

L’identità della donna veniva tenuta nascosta per proteggerla, mentre DN2 non confermava se la signora Osman e quella donna fossero la stessa persona.

Ciò non di meno, quella notizia veniva giudicata estremamente imbarazzante per il governo somalo visto che a quel tempo il presidente, Hassan Sheikh Mohamud, stava facendo il giro dei paesi occidentali per cercare fondi in modo da aiutare il suo governo a ricostruire il paese.

Anche se Mogadiscio sta diventando sempre più pacifica col passare dei giorni e sta mettendo la sordina all’etichetta “due decenni di anarchia“, le violenze sessuali sono ancora molte nei campi che ospitano decine di migliaia di persone.

Sebbene le milizie indipendenti possono indossare le uniformi del governo e travestirsi da soldati regolari, le forze di sicurezza ufficiali sono per lo più condannate per quei crimini perché si trovano intorno ai campi.

I casi di stupro non si limitano solo a Mogadiscio ma sono un fenomeno più ampio che attraversa il paese.

Le Nazioni Unite stimano più di 1100 casi di violenze sessuali in Somalia nel 2012, un dato che è probabilmente molto più alto data la generale riluttanza da parte delle vittime a denunciare simili crimini alle autorità.

Nella comunità somala, le vittime di stupro devono affrontare il ripudio della società e molte preferiscono non parlare di simili fatti in pubblico per paura di “disonorare” le proprie famiglie.

Condannati a morte

Quando Sheikh Mohamud conquistò la presidenza l’anno scorso,  riconobbe i casi di stupro commessi da soldati governativi  raccontando la storia di un’anziana donna stuprata di fronte al suo anziano marito.

“Qualsiasi soldato che stupra qualsiasi persona sarà ucciso,” avvertì Sheikh Mohamud di fronte ad una folla di comandanti dell’esercito l’anno scorso a novembre. “La Sharia Islamica permette [la pena di morte] e noi miglioreremo questa legge.”

Alcuni resoconti indicavano che, ad un certo punto, al marito della signora Osman — Muhyadin Sheikh Mohamed — venne concesso di prendere il posto di sua moglie in carcere per motivi umanitari, nel caso specifico per permetterle di continuare a prendersi cura dei suoi figli.

In una conferenza stampa a Mogadiscio il 16 gennaio, il commissario di polizia, Sharif Shekuna Maye, aveva accusato Ibrahim di “oltraggiare la dignità della polizia e la dignità della nazione somala”.

Inoltre, lo stesso accusava Ibrahim di passare la notizia ad Al-Jazeera. L’emittente negava quelle accuse.

La polizia, per di più, aveva portato la signora Osman davanti ai media affinché ritirasse pubblicamente le sue accuse, tuttavia suo marito disse che sua moglie era stata costretta a ritirare la sua denuncia dopo essere stata interrogata per due giorni dalla polizia senza consulenza legale.

Abdikadir Mursal, il capo di Ibrahim a Radio Ergo, dice che il processo è un tentativo di mettere a tacere le crescenti notizie dei media sulle violenze sessuali in Somalia.

Visto che l’argomento è troppo un tabù da poterne parlare in pubblico, al contrario di quanto succede ora, in passato i media somali non si erano fatti sentire molto sulle violenze sessuali.

“Il giornalista fa semplicemente il suo lavoro e non è interessato nell’offendere lo stato,” dice Mursal, ex manager della statale Radio Mogadishu nell’era di Siad Barre, l’ex dittatore militare del paese.

“Sono gli uomini armati in uniforme che la passano liscia nonostante i loro crimini che oltraggiano l’orgoglio del paese e l’immagine del governo, mentre l’indagine di Ibrahim si sarebbe dovuta usare per punire i criminali. Mettere in carcere il messaggero non è un modo per fare inorgoglire la Somalia.”

In Somalia, la politica e il potere possono prendere il sopravvento sulla giustizia. Sembra che sia proprio questo il caso.

“L’indagine della polizia su questa vicenda era un tentativo motivato politicamente di gettare fango e costringere al silenzio coloro che scrivono del problema pervasivo della violenza sessuale perpetrata dalle forze di sicurezza somale,” diceva Daniel Bekele, direttore per l’Africa di Human Rights Watch.

L’avvocato generale della Somalia, Abdulkadir Mohamed Muse, registrò dei capi d’accusa per vilipendio di istituto governativo aggiungendo delle false prove contro il giornalista e la signora Osman presso il tribunale regionale di Mogadiscio lo scorso 29 gennaio.

Il coordinatore per l’Africa orientale della Commissione per la protezione dei giornalisti (CPJ), Tom Rhodes, che sta valutando attentamente il caso del giornalista, ha detto che non è un crimine intervistare qualcuno accusato di stupro, vere o false che siano queste accuse.

“Non c’è una legge in tutto il pianeta che permetta di arrestare e mandare in prigione qualcuno solamente per avere fatto un’intervista,” ha detto a DN2.

Dopo essere stato fermato per circa 20 giorni senza capo d’imputazione — contrariamente al dettato della legge somala che prevede un massimo di 48 ore — il processo di Ibrahim, accanto a quello della signora Osman, è stato riaperto il 5 febbraio.

Suo marito e altre due persone, un uomo e una donna che hanno fatto conoscere la signora Osman a Ibrahim (la donna nell’ufficio di Bariise il 10 gennaio), sono state accusate di essere complici nella “cospirazione”.

“Portare capi d’imputazione contro una donna che sostiene di essere stata stuprata getta nel ridicolo il nuovo governo somalo circa le sue priorità,” ha detto Bekele di Human Rights Watch.

Dopo una decisione tanto attesa, il giudice Ahmed Aden Farah, il 5 febbraio ha condannato ad un anno di prigione sia il giornalista che la vittima di stupro per “aver insultato e oltraggiato la dignità di un’istituzione nazionale (in questo caso le forze di sicurezza), per aver fatto un’intervista falsa, e per aver varcato la soglia di casa di una donna il cui marito non era presente.”

Sebbene l’emittente di Ibrahim iniziò immediatamente a rispettare la sentenza, i termini carcerari della signora Osman sono stati rimandati.

Il giudice Farah ha detto: “passerà un anno in prigione dopo aver completato l’allattamento al seno per il suo bambino.” I capi d’accusa contro il marito della signora Osman e gli altri due imputati sono stati rigettati per “mancanza di prove”.

La decisione del tribunale è stata fondata sulla testimonianza di un’ostetrica che ha detto che la presunta vittima non è stata violentata “perché un test di gravidanza” fatto dalla signora Osman “ha dato risultati negativi”.

Il prof Mohamed Mohamud Afrah, avvocato di Ibrahim e della signora Osman, ha detto che la decisione del giudice Farah è iniqua e che tutto il processo è stato sabotato dall’Avvocato Generale.

Il prof Afrah ha anche detto che gli è stata negata l’opportunità di assistere i testimoni, compreso un uomo che sarebbe stato fermato da uomini armati delle forze di sicurezza, i quali gli avrebbero così impedito di attraversare la scuola abbandonata mentre era in corso lo stupro.

“L’Avvocato Generale ha riferito solo un lato della storia — quello del governo — con i testimoni sanzionati dallo stato,” ha aggiunto il prof Afrah. “Non ci potevo credere che tutti i documenti e le prove che avevo portato erano state lasciate sul tavolo della corte. Non li hanno neanche guardati!”

La decisione del tribunale ha provocato un rompicapo per i leader politici e diplomatici della Somalia.

Una veloce e furibonda condanna internazionale è giunta dall’ONU, dal governo Usa e dalle organizzazioni per i diritti umani, compresa la Commissione per i diritti umani del parlamento somalo.

“Questi procedimenti sono contrari alle protezioni previste dalla costituzione provvisoria della Somalia, e mandano il messaggio sbagliato agli autori di violenze sessuali e di genere,” ha detto Victoria Nuland, portavoce del Dipartimento di stato Usa.

La presidente della Commissione diritti umani del parlamento somalo, sig.ra Khadiijo Mohamed Diriye, ha chiesto il rilascio immediato del giornalista e della sig.ra Osman, e ha chiesto al governo di iniziare a cercare gli autori dei presunti crimini.

Riforma giudiziaria

Il primo ministro somalo, Abdi Farah Shirdoon, ha promesso che il suo governo farà di più per proteggere le vittime di stupri e che riformerà le forze armate e la giustizia dopo la conclusione del processo, ammettendo “problemi profondi” in entrambe le istituzioni.

“Riconosciamo le preoccupazioni dei nostri partners internazionali e siamo molto coscienti delle enormi difficoltà che la nostra nazione deve affrontare,” ha detto in una dichiarazione lo scorso 3 febbraio.

Tuttavia, Tom Rhodes, coordinatore CPJ per l’Africa orientale, ha detto che la decisione è una conclusione scontata.

“Il ministro dell’interno, tra gli altri ministri e funzionari anziani, ha dichiarato pubblicamente che Ibrahim era colpevole prima che il processo cominciasse, distruggendo il suo diritto alla presunzione d’innocenza,” ha fatto notare. “Ibrahim sembra essere il capro espiatorio di cattive pratiche messe in atto dalle forze di sicurezza della Somalia.”

Anche se l’avvocato Afrah ha presentato ricorso in appello alla decisione della corte, chi governa manda un segnale di gelo alle vittime di violenze sessuali in Somalia, dice Daniel Bekele.

“Manda il messaggio che non puoi riportare notizie su questioni fondamentali, soprattutto se riguarda le forze di sicurezza o argomenti sensibili come lo stupro,” ha detto Rhodes.

Alla domanda circa la sentenza di un anno inflitta a sua moglie, Muhyadin Sheikh Mohamed non ha risposto. “Non voglio maggiori problemi, e credo che mia moglie sia una vittima. Comunque sia, il mio caso è come il detto somalo: Miskiin baa misko la fuulo leh (il debole cede il passo al più forte).

di MUHYADIN AHMED ROBLE muhudin01@gmail.com
traduzione di Piervincenzo Canale

 

Fonte: nation.co.ke

 

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