Sudan: 11-4 le elezioni. Una donna tra i candidati

di Roberto Sassi

Il prossimo 11 aprile si terranno le elezioni presidenziali in Sudan, le prime consultazioni elettorali libere dopo ventiquattro anni.https://i0.wp.com/i578.photobucket.com/albums/ss224/hobatonga/southsudanstates-1.jpg?resize=250%2C186

Si avvicina un momento storico per il popolo del più esteso paese africano, un appuntamento fissato dagli accordi di pace di Nairobi siglati nel 2005, che avevano decretato la fine delle ostilità tra il nord e il sud del paese, e che avevano progettato un percorso democratico da completarsi con il referendum per l’indipendenza del Sud Sudan fissato per il gennaio 2011.

Nelle elezioni di aprile si eleggeranno i due presidenti (del nord e del Sud Sudan), i governatori dei 26 stati sudanesi, oltre che i deputati del parlamento nazionale e di quello del sud. Saranno chiamati al voto milioni di cittadini, molti dei quali si troveranno per la prima volta alle prese con le operazioni di voto.

E’ un evento molto atteso sia dai cittadini sudanesi – che nel novembre scorso hanno affollato gli uffici per il registro degli aventi diritto al voto – sia dall’Unione Africana e dal mondo in genere.

Ed è un evento atteso anche da Fatima Ahmed Abdelmahmoud, sessantaseienne prima ed unica donna-candidato alle elezioni presidenziali. La leader del partito Unione Socialista e Democratica Sudanese sfiderà – pur senza grandi speranze di vittoria, in un paese nel quale le donne ricoprono un ruolo decisamente marginale – il presidente in carica Omar al-Bashir.

https://i0.wp.com/media.rd.com/rd/images/rdc/mag0812/hotheads-of-state-omar-al-bashir-af.jpg?resize=190%2C127Gli altri dieci candidati alla presidenza che si affronteranno sono, in ordine sparso, Al-Sadiq Al-Mahdi (Partito Umma); Hatem Al-Sir (Partito democratico unionista); Yassir Arman (Movimento di liberazione del Sud Sudan); Abdullah Deng Nhial (Partito del congresso popolare); Mohamed Ibrahim Nugud (Partito comunista sudanese); Mubarak Al-Fadil (Partito del rinnovamento e della riforma dell’Umma); Abdel-Aziz Khalid (Forze dell’alleanza sudanese); Kamil Al-Tayib Idriss (indipendente); Ahmed Goha (indipendente); Munir Sheik Al-Deen (Nuovo partito democratico nazionale).https://i0.wp.com/www.iisd.ca/YMB/WATER/WORLDWATER5/images/19mar/DSC_5707-tn.jpg?resize=152%2C187

Secondo alcuni analisti (Alex de Waal, ad esempio) si prospetta persino un secondo turno elettorale, con l’islamico moderato Yassir Arman ad insidiare più d’ogni altro la leadership di al-Bashir.

Il segretario generale del Movimento popolare di liberazione del Sudan, Pagan Amum, si è dimostrato in diverse occasioni fiducioso sull’esito del voto, prefigurando addirittura un successo elettorale, che appare davvero molto difficile. Se non altro perché i dati che emergono dalla registrazione degli aventi diritto al voto dimostrano una schiacciante predominanza della popolazione del nord (11 milioni a fronte dei poco meno di 3 del sud).

https://i0.wp.com/www.sudantribune.com/IMG/jpg/hatim_alsir1.jpg?resize=149%2C172Negli ultimi giorni, il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, intervenuto al vertice della Inter-Governmental Authority on Development (IGAD) tenutosi a Nairobi, ha riaffermato la volontà di giungere al referendum per l’autodeterminazione, e ha diffidato chi tenta di boicottarlo attraverso la posticipazione.

Kiir ha accennato a quella che considera la priorità del popolo del Sudan meridionale: il referendum è più importante delle elezioni presidenziali di aprile.

Un modo per dire che, anche se il meccanismo elettorale delle presidenziali dovesse fallire, il voto per l’indipendenza si terrà egualmente, dacché, secondo il politico sudanese, «il diritto all’autodeterminazione è uno dei più grandi successi del CPA (Comprehensive Peace Agreement n.d.r.) e sarà difeso ad ogni costo ».

Nei mesi scorsi diverse voci, tra le quali quella del Segretario Generale dell’Onu Ban-Ki-Moon e quella del presidente dell’Unione Africana Jean Ping, avevano messo in dubbio la necessità del processo di separazione.

Il Segretario dell’Onu aveva spiazzato tutti nel febbraio scorso rilasciando una dichiarazione ad una radio africana, in cui diceva che «le Nazioni Unite hanno la grande responsabilità, insieme all’Unione Africana, di mantenere la pace in Sudan e rendere attraente l’unità».

Una prospettiva evidentemente poco allettante per il presidente Kiir, che era intervenuto sulla questione con una nota, in cui sosteneva che i sudanesi del sud «non permetteranno opposizioni all’indipendenza, e se sarà il caso riprenderanno le armi ». Kiir fa riferimento anche ai trattati di pace di Nairobi del 2005, in cui vennero stabiliti modi e tempi di quella che si immaginava come una secessione dolce, impugnandoli a favore del quesito referendario.

Proprio nel momento più delicato degli ultimi anni la distanza tra il Partito del Congresso Nazionale (PCN) e il Movimento di Liberazione Popolare del Sudan (MLPS) sembra aumentare notevolmente. L’approssimarsi delle scadenze elettorali sta facendo salire la tensione e ha fatto già scattare il meccanismo delle alleanze. Etiopia, Kenya e Uganda non nascondono le loro simpatie per il governo del Sud Sudan, e vedono con favore la possibile separazione.

Dal canto suo il nord del paese gode dell’appoggio di Eritrea ed Egitto, i quali si stanno adoperando per convincere il governo di Juba a rimandare a tempi migliori il referendum.

In questo complesso scenario, una cosa sembra certa: se il Sudan vuole davvero avviare un processo democratico, dovrà affidarsi anche all’aiuto di istituzioni straniere quali Nazioni Unite, Unione africana, Lega araba e Unione europea, che facciano opera di supervisione, garantendo il regolare svolgimento delle operazioni di voto. Riforme giuridiche che permettano lo svolgimento di elezioni libere e giuste e grande impegno nella sicurezza sono altri passi imprescindibili.

Tutto questo potrà avvenire solo se gli attori in scena, ovvero PCN e MLPS, negozieranno accordi in merito, se riusciranno ad ottenere un trattato di pace che garantisca alla popolazione del Darfur la partecipazione al voto di aprile, se saranno adottate misure atte a mantenere la pace nel sud del paese.

Il fallimento del processo di democratizzazione del Sudan e quindi l’annullamento del referendum per l’autodeterminazione del Sud non sembrano dunque sostenibili, alla luce del sistema di alleanze regionali che sta prendendo forma in questi mesi, ma soprattutto alla luce della soluzione cui il Sud Sudan ha ripetutamente menzionato, ovvero quella di autoproclamarsi Stato indipendente.

Fonti:

http://www.nigrizia.it/sito/notizie_pagina.aspx?Id=9416&IdModule=1

http://www.apcom.net/africa_news/20100115_061700_f0a766_6529.shtml

http://www.manitese.it/2009/aperta-la-campagna-elettorale-in-sudan/

http://lanarkway.blogosfere.it/2010/02/sudan-cresce-la-tensione-in-vista-delle-elezioni.html

Articolo originariamente pubblicato su Eurasia-rivista.org

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