Strage migranti. Gentiloni: “Adesso l’Europa sa”

Intervista al ministro: regole comuni su asilo e rimpatri. La Casa Bianca: la Ue fermi i trafficanti

L’orrore dei tir ha convinto i falchi l’Europa ha capito il dramma è di tutti

Paolo Gentiloni. Il ministro degli Esteri: “La strage in Austria dimostra che quella dei migranti non è è solo una nostra emergenza. I Paesi non siano ostaggio di chi semina la paura”

LE REGOLE
Serve un diritto di asilo europeo valido per tutte le nazioni. E Bruxelles deve gestire i rimpatri

L’ACCOGLIENZA
Anche governi che avevano resistito al principio della distribuzione dei rifugiati stanno cambiando idea.

Il sogno europeo che si trasforma in incubo, con una fine orribile nel cassone di un Tir. Ministro Gentiloni, questi morti sono sulla coscienza dell’Europa?
«Certamente pesano sulle nostre coscienze, come

le vittime delle rotte mediterranee. Nelle ore in cui si scopriva la tragedia ero a Vienna, per un vertice di Europa e Balcani. Bastava guardare in volto i colleghi per capirlo: siamo tutti coinvolti. Fino a poco tempo fa c’era l’idea che fosse solo un’emergenza italiana e greca. Nelle ultime settimane si è diffusa la consapevolezza che il problema investe l’Europa intera.

Ma quelle morti così atroci si potevano evitare?
Queste tragedie si devono evitare. Noi ci stiamo lavorando da un anno e mezzo, con operazioni di ricerca e soccorso in mare, abbiamo salvato oltre centomila vite umane. L’Italia è additata ad esempio dalla comunità internazionale. E ora alle operazioni nel Mediterraneo partecipano assetti navali di altri Paesi. Ma anche se si salvano centomila vite umane, non sempre siamo in grado di salvare tutti».

La tragedia del camion è un nuovo segnale d’allarme?
Indica che l’emergenza è ormai un problema europeo. Eventi tragici del genere si ripetono con troppa frequenza quasi ogni giorno in Macedonia.

Italia e Grecia stanno facendo la loro parte, ma restano indietro sul punto dei centri di registrazione. Ci sono state critiche dei partner?
Assolutamente no. L’Italia fa la sua parte e, come ha ribadito anche la cancelliera Merkel, Roma e Berlino spingono perché tutti i punti in agenda siano rispettati».

Ma tutti i Paesi sono pronti a fare la loro parte?
«Negli ultimi due mesi la percezione è cambiata in modo significativo. Anche governi che avevano resistito al principio della distribuzione dei rifugiati, come quelli di Austria e Slovenia, stanno modificando le posizioni».

II presidente polacco Duda ha detto che vuole ‘aiutare i profughi a casa loro”. La Slovacchia ha fatto sapere che vuole accogliere solo rifugiati cristiani L’Ungheria, dove nell”89 è cominciata la fuga dei tedeschi dell’Est che ha portato alla caduta del Muro di Berlino, adesso sta costruendo muri sul confine opposto. Che cosa si può fare per convincere i partner più riluttanti?
«Mi auguro che cambino idea molto presto, che non siano necessarie emergenze sulla porta di casa loro, perché si rendano conto di ciò che è sotto gli occhi di tutti».

C’è il rischio che l’Europa, stretta fra emergenza profughi e rischi legati al terrorismo, risponda con la paura e si chiuda a doppia mandata, rinunciando alla sfida dell’apertura, che in passato ha fatto la fortuna degli Stati Uniti?
«Sia Renzi che la Merkel hanno scandito un messaggio forte e chiaro: la democrazia, la civiltà e l’economia europea non possono essere ostaggio di minoranze di destra, o dell’idea che chi cavalca la paura possa incassarne i dividendi elettorali. Ci sono tre passi molto semplici che l’Europa deve fare: 1) prendere consapevolezza del carattere permanente – per almeno 10/15 anni – e da certi punti di vista persino necessario delle migrazioni, che ovviamente vanno regolate. 2 ) lavorare sulle cause: a novembre ci sarà un vertice a Malta di Europa e Africa per mettere in pista investimenti e progetti nei Paesi di transito e in quelli in crisi. 3 ) cambiare registro sulle regole e sulle politiche di accoglienza».

Bisogna cambiare il trattato di Dublino?
«Bisogna modificare norme concepite 25 anni fa, introducendo gradualmente un concetto rivoluzionario: i migranti non entrano più in Italia, in Grecia, in Ungheria, o dove la geografia o la sorte li fanno arrivare, ma in Europa. E questo vuol dire che serve in prospettiva un diritto d’asilo europeo valido per tutti i Paesi. Dev’essere l’Unione a definire quali sono i Paesi cosiddetti sicuri, e quali invece quelli alla cui popolazione è garantita una tutela internazionale».

Da questo che cosa consegue?
«Per esempio, che i rimpatri devono essere gestiti a livello europeo. E ovviamente che ci vuole equilibrio nella distribuzione dei rifugiati, senza il quale la maggior pressione potrebbe spostarsi dai Paesi di primo arrivo come Italia e Grecia ai Paesi dove il welfare è più generoso, come Svezia o Germania».

Questo vale per chi è già arrivato, ma che cosa va fatto per gestire i flussi migratori?
«Servono canali di immigrazione legale, perché l’Europa ha bisogno di alcuni tipi di manodopera. Serve soprattutto maggior determinazione nella lotta contro la barbarie degli schiavisti. In parallelo agli sforzi europei c’è un’escalation di infamia dei trafficanti, tanto che si moltiplicano le partenze dalle coste libiche con barche sempre più inaffidabili, incapaci di tenere il mare e con i più derelitti fra i derelitti rinchiusi nelle stive. Si è conclusa la fase 1 della missione Eunavfor Med, ora l’Ue avvii il dibattito sulla fasi seguenti».

Fonte: esteri.it

 

 

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.