Operazione “Mare Nostrum”: Nostrum di chi?

E’ evidente che per una coalizione eterogenea e complessa come quella che sostiene il Governo Letta era necessario trovare un’azione da attuare sul tema immigrazione che rispondesse contemporaneamente all’emozione umanitaria e caritatevole e alla pulsione protettiva e securitaria. Da questa esigenza è nata la missione Mare Nostrum: un’ambigua via di mezzo tra controllo e salvezza, quella stessa ambiguità che regge anche il lavoro della agenzia europea Frontex, che di anno in anno rivendica la riduzione dei flussi di immigrazione clandestina come risultato a tutela delle vite umane.

Ma che fine facciano quelle vite umane non lo dice nessuno.

Insomma, ora centinaia di militari italiani vanno a salvare i migranti in mezzo al mare, con l’evidente scopo anche di costituire detraente per il viaggio e con una forte tentazione da parte di un’ampia componente del Governo di utilizzare l’emergenza per riattivare il partenariato con la Libia nella direzione dei respingimenti di maroniana memoria. Alfano l’ha detto chiaramente, i migranti saranno salvati, ma non è detto che vengano trasportati in Italia, dipende in quali acque vengono rintracciati. Nel frattempo il Dott. Pinto, direttore Dipartimento Immigrazione del Viminale, si è recato a Tripoli a capire quali strade siano percorribili per riattivare gli accordi con la polizia Libica.

Contemporaneamente i mass-media hanno organizzato lo scudo necessario alla missione, declassando già oggi il tutto a notizia quasi invisibile: ora ci pensa l’esercito umanitario, che salverà le vite e terrà i corpi lontani dalla nostra vergogna.

L’attenzione e il controllo democratico della società civile su quanto la Missione Mare Nostrum vuole attivare invece non deve calare, per non permettere a nessun Governo di riattivare percorsi disumani di collaborazione con polizie violente e anti-democratiche come quella libica.

Resta da notare in ogni caso che la strada aperta da questa Missione è quella della responsabilità rispetto alla vita e ai diritti dei migranti. E’ un passo ambiguo e non completo, ma resta un passo che potrebbe aprire finalmente la strada alla direzione necessaria, ma fin qui politicamente “incomunicabile” dei canali umanitari o , come in molti analisti e cittadini iniziano a pensare, dei traghetti di linea.

I due grandi difetti della missione umanitaria sono da una parte il coinvolgimento di solo personale militare, che non è certo tenuto ad avere esperienze di relazioni interculturali e psico-sociali idonee al contesto, e dall’altra il fatto che continua ad aumentare la chiusura e quindi ad aumentare la pressione. C’è un unico modo per ridurre la pressione migratoria dal sud: aprire dei canali di migrazione regolare. Ma per farlo bisogna dire chiaramente: non esistono milioni di africani che stanno per invaderci, esistono milioni di esseri umani che si muovono dappertutto e lì dove il loro movimento viene costretto e bloccato la pressione migratoria aumenta e utilizza canali illegali, rischiosissimi e di grande rendita per chi li sfrutta.

Per questo i canali umanitari per chi cerca protezione e i traghetti e i voli di linea con visti più facili per chi migra solo per ragioni economiche sono la strada più intelligente.

Non verranno tutti qui. Anzi, andranno dove hanno amici e parenti che dicono a loro che si può lavorare e vivere decentemente, cioè non nella gran parte dell’Italia di oggi (anche se esistono ancora settori di lavoro dove la manodopera straniera è assolutamente necessaria e anche se le comunità straniere hanno delle capacità di assorbire e creare lavoro molto forte).

Non solo non verranno tutti qui, ma ci costerà molto di meno. A noi e soprattutto a loro. In termini economici e in termini di dignità e integrità umana. Potremo sia noi che loro investire molto di più in politiche e pratiche di integrazione e dialogo, cosa che abbiamo quasi completamente smesso di fare.

Per iniziare davvero a onorare chi ha perso la vita nel nostro mare, dobbiamo liberarci del peso simbolico e ideologico di Lampedusa e dei barconi. Smetterla di utilizzare questa storia come merce di scambio elettorale o mediatico. E dare al fenomeno le sue dimensioni reali: in quindici anni ci sono stati circa 300.000 persone che hanno cercato di raggiungere l’Italia dalla costa sud e siccome era illegale farlo con traghetti o altri mezzi l’hanno fatto in un modo disumano che ha causato la morte di almeno 15.000 di loro, 1 ogni 20.

Cosa costava al Paese e all’economia italiana far arrivare quelle 300mila persone in quindici anni? 20.000 persone l’anno? Molto molto meno di quanto abbiamo speso per cercare di fermarle, accumulando costi non solo economici, ma anche politici (l’amicizia con Gheddafi e lo screditamento internazionale, la crescita di partiti xenofobi) e soprattutto umani.

Guardate la tabella che riporto qui sotto

Stati di cittadinanza Immigrati Emigrati Cancellati per irreperibilità
Romania 942.726 33.762 50.641
Albania 278.186 8.075 15.334
Marocco 258.203 8.958 29.665
Ucraina 214.673 5.637 7.979
Cina 150.247 7.242 28.938
Moldova 135.462 2.777 2.997
Polonia 97.782 7.122 6.502
India 93.468 4.440 4.571
Brasile 80.238 3.944 5.102
Ecuador 78.200 1.847 3.843
Altri stati esteri di cittadinanza 1.234.194 90.736 125.378
Totale 3.563.379 174.540 280.950

Sono gli ingressi ufficiali (fonte ISTAT) di cittadini stranieri tra 2002 e 2011, più o meno gli anni della forte sovraesposizione mediatica di Lampedusa e delle sue tragedie o paure. I ventenni forse no, ma chi ha almeno 30 anni se lo ricorderà certamente che negli anni ’90 e primi anni 2000 gli invasori erano marocchini, albanesi e rumeni. Bisognava fermarli, respingerli, non potevano venire tutti qui, erano tutti ladri, criminali e stupratori. E gli albanesi, in particolare, arrivavano nello stesso modo degli africani oggi: con i gommoni, gli scafisti, i “barconi dei disperati”. E’ impossibile non lo ricordiate. Ebbene, da quando i riflettori su di loro sono calati, l’Italia ha reso molto più semplice il loro arrivo per vie legali (la Romania è entrata in Europa, per gli albanesi oggi basta mostrare il passaporto al momento dell’ingresso e per i marocchini avere il visto è molto più semplice) e loro d’improvviso sono diventati “normali” ospiti del nostro Paese. L’emergenza che solo detenzioni ed espulsioni sembravano poter risolvere, è stata risolta invece con l’apertura. Apertura da tenere però nascosta. Da non raccontare. E non ne sono arrivati pochi: rispetto ai dati sugli sbarchi di Lampedusa parliamo di cifre ben più alte, almeno cinque o sei volte più alte.

Eh sì, direte voi, ma tra 2002 e 2009 l’economia italiana funzionava e dava lavoro. Senza soffermarci su come lo dava questo lavoro (contratti in nero, sfruttamento, condizioni di vita indegne e altre amenità), oggi ne arriverebbero e comunque ne arrivano di meno, perché il migrante non si muove a caso, ma s’informa con molta attenzione, perché non parte per un viaggio di piacere, ma per cercare di costruire una nuova vita. Esattamente come stanno facendo i nostri figli e i nostri amici che non trovano più lavoro nel nostro malandato Paese.

Mi auguro con tutto il cuore che l’operazione Mare Nostrum serva solo temporaneamente per evitare tragedie e che non sia una risposta strutturata al fenomeno. Perché il Mediterraneo per diventare sicuro deve diventare Nostrum di noi tutti, non Nostrum solo di qualcuno.

Andrea Segre

fonte: andreasegre.blogspot.it; dreamersatwork.org

 

 

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