La vita di Maris Davis contro la mafia nigeriana

MARIS DAVIS NON E’ PIU  CON NOI: UNA RAGAZZA DI BENIN CITY DA NON DIMENTICARE

Le parole del marito, le sue iniziative da non interrompere, la sue breve biografia

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Il messaggio di Florindo, marito di Maris Davis

A causa di un male incurabile Maris Davis è deceduta il 16 luglio scorso. Per sua volontà il suo profilo facebook  non viene chiuso, così come resterà attiva la sua pagina sociale. Un gruppo ristretto di familiari e alcune carissime amiche di Maris gestiranno le amicizie, i post in bacheca e i messaggi (nel limite del possibile).

La pagina sociale continuerà ad essere gestita dal marito. Si continuerà a portare avanti i progetti avviati per l’Africa da Maris: Friend’s for Africa (orfanotrofio a Benin City), Adozione a distanza e soprattutto “Ex-Ragazze di Benin City” (contro la Mafia Nigeriana). Attorno a questi progetti si sta creando un gruppo di volontari.

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Una notizia drammatica, come è stata drammatica la vita di Maris. Lei si è raccontata; io posso solo invitarvi ad andare a leggere la sua storia e i suoi scritti; ne propongo qui un abstract credo significativo affinchè Maris non sia dimenticata.

Isoke Aikpitanyi

Da piccola, alla periferia di Benin City, sognavo che il papà la smettesse di maltrattare mamma che era la sua seconda moglie. In Nigeria anche oggi è permessa la poligamia. La mamma sopportava tutto pur di farci mangiare…9 tra fratelli e sorelle, 5 dalla moglie uno e 4 dalla moglie due, e mia madre (moglie due) doveva provvedere a tutti, anche ai figli non suoi.

Un Angelo, la nonna materna, mi ha portato via da quell’inferno. Se non fosse stato per lei avrei subìto l’odiosa pratica dell’infibulazione (taglio del clitoride) anch’io come le mie sorelle. Questa grande donna mi ha fatto studiare pagando i miei studi fino al diploma (in Nigeria si paga anche per andare alla scuola dell’obbligo).

Finiti gli studi sognavo l’Europa, e allora mio padre, per farmi contenta, mi ha “VENDUTA” in cambio di pochi dollari a dei “signori eleganti” e ben vestiti che mi hanno fatto arrivare in Italia 1995 Prima città Torino, e quei “signori eleganti” mi presero a forza e, alla presenza della mia prima madame, mi violentarono (ripetutamente per tre giorni di seguito), mi dissero che dovevo imparare il mestiere. Non avevo ancora compiuto i miei 21 anni.

1995–1997: Mi fa male ricordare. Davanti al mio marciapiede c’era sempre la “coda”, ero giovane e carina, e ho imparato l’italiano quasi subito, non bene come adesso, ma mi facevo capire. Quando la “madame” intuiva che mi ero fatta troppi amici italiani, mi “vendevano” ad un altro gruppo di nigeriani eleganti che mi portavano in un’altra città… e così io dovevo iniziare da capo a ricostruirmi le mie amicizie. Il debito che dovevo pagare a “quei signori” era di 60 mila dollari (un’enormità).

Quindi da Torino a Verona, poi a Padova ed infine a Udine. Ero stanca e depressa, non mi interessava più nulla se loro minacciavano la mia famiglia in Nigeria, non mi interessava più nulla della mia vita…

1997: I clienti mi parlavano spesso della Caritas e di altre organizzazioni (tipo Don Benzi). Volevo morire, ma prima di morire io, volevo farla pagare a quei bastardi… dopo appena tre giorni che ero a Udine chiesi ad un “bravo cliente” se sapeva dov’era la Caritas, e così mi accompagnò in via Treppo.

La dolcezza di una signora, la bontà di una poliziotta, e alcune connazionali che ho trovato lì, mi convinsero a denunciare tutte le madame e tutti quei“signori eleganti”. E’ stata una settimana straziante perché mi hanno fatto ricordare tutto, con tutti i numeri della rubrica del mio cellulare (per la maggior parte clienti) messi sotto controllo.

1997-1999: Ho vissuto in una così detta Casa Protetta assieme ad altre ragazze, quasi tutte albanesi. Ma subito alla Caritas hanno visto che ero diplomata e che avrei potuto frequentare l’Università. Mi fecero avere i documenti e mi iscrissero sotto falso nome: Chantal Blessing Dana. Così diventai Chantal B. Dana, nome a me particolarmente caro. Per due anni ho frequentato la facoltà di Informatica, senza saltare un esame, come qualsiasi altra studentessa modello. Nessuno dei miei compagni di studi ha mai sospettato del mio passato, ero solo una ragazza nigeriana che era venuta a studiare in Italia. Il mio Permesso di Soggiorno non era stato rilasciato perché avevo collaborato con la giustizia, ma semplicemente per “Studio”.

All’inizio del 1999 conobbi un signore sulla quarantina, friulano, che si era appena separato dalla moglie e che viveva solo. Io però non ne volevo più sapere di uomini, lui sapeva tutto di me perché faceva volontariato proprio alla Caritas, e per me aveva un’attenzione particolare e così ci scambiammo il numero telefonico, e qualche volta abbiamo passato anche bei momenti insieme (a parlare).

Maggio 1999: Un giorno, come tutte le mattine di quella primavera, ero sull’autobus che mi avrebbe portata al polo universitario dei Rizzi. Scesi alla solita fermata in via Cotonificio e mentre camminavo una macchina si affiancò a me, e senza che potessi gridare o chiedere aiuto mi ritrovai dentro sul sedile posteriore… Mi legarono mani e piedi, e mi misero un cappuccio in testa… La mafia nigeriana mi aveva ritrovata… Il giorno dopo ero già a Girona, in Spagna. Anche adesso mi sto chiedendo come abbiamo fatto, io credo qualche mia confidenza di troppo con amiche nigeriane che, magariper soldi, mi hanno tradita.

Quello che so è che in quel momento ero ripiombata all’inferno. I miei documenti italiani stracciati con rabbia davanti ai miei occhi, il mio cellulare buttato violentemente contro il muro della stanza in cui ero rinchiusa, tutte le mie cose (vestiti, scarpe, ricordi, foto, ecc…), tutte le mie amicizie, tutto ancora in Italia, in quel momento non mi era rimasto nulla, solo le botte di “quei signori” e le mie lacrime.

1999–2003: Non voglio ricordare, ma… La differenza con l’Italia, è stata quella che in Spagna, anziché la strada, c’erano i night club, le feste private, le case dei clienti, e così via… e poi anche le donne, i filmini, mi facevano fare le cose più odiose perché sapevano che in Italia avevo fatto delle denunce. Non potevo uscire in strada (sola), ma dovevo lavorare esclusivamente in posti chiusi… dove ero più facilmente controllata. Ogni santo giorno avrei voluto morire, ma ogni santo giorno vedevo “una luce”, quella luce è stata la mia speranza per 4 anni.

Da Tenerife a Ibiza, da Valencia a Barcellona, ed infine Madrid. Purtroppo ero molto richiesta, ero stanca e depressa ma nessuno, dico nessun cliente ha avuto mai pietà di me. Alla fine del 2003, ero la controfigura di me stessa, sempre ammalata e febbricitante, ero ridotta ad uno straccio che avrebbe voluto chiudere gli occhi… per sempre!

E così un giorno “quei bastardi” mi dissero che il mio debito era pagato, e mi abbandonarono al mio destino. Così mal messa ormai non servivo più ai loro scopi, ero diventata un peso anche per loro. All’improvviso mi sono ritrovata senza un posto per dormire, senza documenti validi, ma solo una valigia dove c’era tutta la mia vita e 700 euro che ero riuscita a nascondere per me.

Per fortuna una mano misericordiosa (un’amica) mi ospitò nella sua camera che aveva in affitto presso una famiglia di nigeriani ad Alcalà de Henares (una trentina di km. da Madrid).

2004: … ero depressa, stavo giorni e giorni chiusa in quella cameretta a dormire o a guardare fisso il soffitto. Mio padre era mancato due anni prima, ma ormai avevo interrotto anche i rapporti con la mamma, i miei fratelli e le mie sorelle in Nigeria.

Venne l’estate, e comprai una macchina da cucire di seconda mano, ricordandomi che da ragazza avevo imparato a fare i vestiti e a rammendare. Un giorno, frugando tra le poche cose della mia valigia, trovai una piccola agenda di qualche anno prima nella quale era ancora annotato un numero di cellulare italiano e a fianco di quel numero c’era un nome: Florindo. Acquistai 5 euro di credito e chiamai quel numero e con mia grande sorpresa qualcuno rispose, era proprio lui che grazie a Dio aveva mantenuto lo stesso numero per tutti quegli anni. Quella luce che vedevo così lontana (la Speranza), da quel giorno iniziò a cambiare direzione e si avvicinava sempre di più il Sogno di tornare a vivere per davvero.

Ci sentivamo anche due o tre volte al giorno, iniziai a sorridere, a uscire, ripresi ad andare in Chiesa, e soprattutto ripresi i contatti con la mia famiglia in Nigeria.

Il 15 agosto di quell’anno alle 9 di mattina Florindo mi chiamò e mi disse: “Sono appena partito da Udine, domani mattina presto conto di essere a Madrid, tieniti pronta”. Duemila chilometri in macchina da solo, 23 ore di guida quasi senza dormire, una pazzia fatta solo per me.

Il primo incontro fu proprio alla Stazione di Atocha. In ottobre Florindo ritornò (questa volta in aereo) e affittò un appartamento tutto per me, all’attico di un condominio di 5 piani. Era nuovo e grandissimo, tre camere, tripli servizi, soggiorno, cucina e due terrazze immense e anche la piscina comune in giardino. Tutto per me… ma non mi sono dimenticata di quella mano misericordiosa, quell’amica che mi ospitò quando non avevo nulla… e la invitai a vivere con me nella nuova casa.

2004–2006: Quasi tre anni che sono serviti per ricostruire tutti i miei documenti …, anni nei quali ho però subito un intervento chirurgico in conseguenza della tante violenze passate. Ora non potrò più essere mamma, uno dei tanti segni incancellabili che “quei bastardi” mi hanno lasciato. Un episodio che però ho vissuto serenamente perché al mio fianco avevo l’uomo che amavo e che amo.

Anni nei quali, con quella macchina da cucire sgangherata, ero riuscita a farmi una clientela che apprezzava i miei vestiti e il mio lavoro di sarta. Così sono riuscita a guadagnarmi i primi soldi tutti veramente miei.

Il 27 ottobre 2006, presso il Comune di Parla (Comunidad de Madrid), io e Florindo abbiamo coronato il nostro sogno d’amore …

Poco più di un mese dopo sono finalmente tornata in Italia, a Udine… nella stessa città da dove, più di sette anni prima, un manipolo di “bestie umane” mi aveva prelevato a forza e mi aveva fatto “sparire”. Ma ora la Chanty era tornata e per prima cosa ha voluto ricominciare da dove era stata interrotta… sono ritornata a studiare, ho dato tutti gli esami che mi mancavano per prendere la laurea breve (novembre 2007). Un documento che per me ha un valore e un significato unico, che va al di là del semplice titolo di studio.

2010: Ci sono voluti più di sei anni di serenità, di cure amorevoli, di preghiere continue per avere il coraggio di raccontare, di buttare fuori il dolore che mi tenevo dentro ormai da troppo tempo. …

Anche a distanza di anni, capita che venga assalita da ricordi spiacevoli, mi sveglio nel cuore della notte di soprassalto, ma poi allungo la mia mano e accarezzo il viso dell’unico uomo che abbia saputo donarsi a me senza mai chiedere nulla in cambio. Il mio unico amore…

 

 

Fonte: mail di Isoke Aikpitanyi

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