La Nigeria e l’aiuto controverso e interessato del Ciad

Andrea de Georgio

Diciotto bare disposte accuratamente in fila, ognuna avvolta nel tricolore blu, giallo e rosso. È  questa l’immagine-simbolo della discesa in campo del Ciad contro Boko Haram.

Il sacrificio di diciotto soldati, anonimi “martiri della patria”, morti nel nobile compito di scacciare la minaccia dei tagliagole locali e di un sanguinario Stato Islamico alle porte, viene riproposto senza fine dalla televisione di Stato e rimbalza sui social network.

La forza emotiva di tale immagine spiega meglio di tante analisi la valenza politica e propagandistica che questa nuova impresa militare rappresenta per un paese periferico come il Ciad. Un paese che sotto la presidenza di Idriss Déby, al potere dal 1990, si è sempre comportato da gendarme della regione(1) contro le derive ribelli degli ultimi decenni come in Darfur (Sudan), in Costa d’Avorio e, più recentemente, in Mali.

Un paese che, oggi più che mai, rappresenta il principale alleato dei francesi nella regione.

Nella coalizione africana che nelle scorse settimane ha risposto alla richiesta d’aiuto lanciato dalla Nigeria e sta muovendo guerra al gruppo jihadista di Boko Haram spicca la leadership del Ciad. Dopo le esperienze analoghe nei conflitti in Mali e in Centrafrica, il paese di Idrissa Déby Itno si ripropone come ago della bilancia regionale e internazionale sfruttando l’occasione offerta dalla recrudescenza della lotta al terrorismo nella vicina Nigeria. E lo fa puntando tutto sulla propria forza principale: l’esercito. Dietro a quello che viene presentato come l’avanguardia della guerra fra “mondo libero” e “forze del male”, però, si celano interessi economici e politici che hanno a che fare con dinamiche locali e una questione ben più remunerativa della protezione delle popolazioni civili: la ridefinizione delle sfere d’influenza fra due grandi potenze mondiali quali Francia e Stati Uniti in Africa.

La decisione dell’Assemblea nazionale di N’Djamena, lo scorso 7 febbraio, d’inviare proprie truppe in Camerun e Nigeria è stata salutata da una serie di manifestazioni popolari fortemente volute dal partito di Déby e sostenute da altre forze politiche vicine al presidente. Nella capitale è stata organizzata perfino una sfilata militare con tanto di muscoli in mostra, popolazione festante e bandierine svolazzanti. Il presidente Déby si è recato al confine con il Camerun per accompagnare le colonne di blindati ciadiani in viaggio verso il fronte. Un tipico esempio di effetto “rally ‘round the flag” ottenuto grazie alla creazione di un nemico-spauracchio nazionale. Una finezza politica che l’egocentrico presidente del Ciad ripropone da svariati anni e che la congiuntura attuale ha coniugato in un efficace accerchiamento dell’”asse del male” (Ansar Al Saharia a nord, Boko Haram a sud, Aqmi a ovest, gli Shabaab somali a est).

Boko Haram, insieme all’Isis in Iraq e Siria e ad altre formazioni della galassia neo-jihadista, rappresenta il nemico per antonomasia. Spietati barbuti senza scrupoli che minano la convivenza pacifica del villaggio globale con il criminale intento a instaurare uno Stato islamico nel Nord-Est della prima (petrol-)economia del continente. Insomma: il nemico perfetto del binomio dominante democrazia-liberismo. Con un nemico così perfino l’Unione africana (Ua), tradizionalmente divisa, ha riscoperto l’unanimità votando il 7 febbraio scorso a Yaoundé la creazione della Mult-National Joint Task Force (Mnjtf), un dispositivo di 7500 soldati con base a Baga, nello stato di Borno (Nigeria), dove all’esercito nigeriano si affiancano contingenti dei paesi della Commissione del Bacino del Lago Ciad: Niger, Ciad, Camerun e Benin. Si attende al più presto anche una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che autorizzi il coinvolgimento di altri attori regionali e ammanti l’operazione di solennità globale, come fu per il Mali.

Nelle scorse settimane, il Ciad ha dimostrato sul campo la superiorità della propria compagine militare rispetto al diviso e demotivato esercito nigeriano e alle altre armate in campo: nel giro di pochi giorni Boko Haram è stato scacciato da Gambaru e Ngala, due importanti snodi commerciali al confine fra Nigeria e Camerun, asse di vitale importanza insieme alle strade che attraversano Maiduguri nel Nord-Est della Nigeria e al centro lo stato del Borno, portando a ovest al confine col Niger. Non bisogna dimenticare, infatti, che le economie di questi paesi (del Ciad in particolare) dipendono fortemente dagli scambi commerciali regionali. Per questo la battaglia di Gambaru è stata cruciale: fonti ciadiane, non confermabili indipendentemente, parlano di oltre 230 miliziani di Boko Haram uccisi e molti prigionieri(2).

La setta jihadista guidata da Abubakar Shekau ha risposto alla perdita dell’importante ponte fra Gambaru e Fotokol attaccando quest’ultima località in Camerun e uccidendo, per rappresaglia, oltre cento persone. Circa 70 civili sono stati ritrovati con la gola tagliata in una moschea di Fotokol, data poi alle fiamme(3). Questo particolare sottolinea una volta di più che non si tratta di una guerra confessionale, bensì di un classico conflitto per il controllo di risorse e territori strategici. Risorse strategiche come il petrolio e l’uranio di cui lo stato del Borno, dove si concentra la lotta di Boko Haram in Nigeria, e il Lago Ciad sono ricchi. La regione attorno al lago è abitata da una maggioranza kanuri, un gruppo etnico che conta circa 5 milioni di persone in Nigeria e un milione nel Ciad. I contatti transfrontalieri sono reminiscenza dell’antico Impero di Kanem-Bornu dell’inizio del XIX secolo. Molti militanti di Boko Haram sarebbero appartenenti proprio a questo gruppo etnico, cosa che preoccupa non poco il governo del Ciad interessato a mantenere il controllo sulle risorse del Lago Ciad. La protezione dell’oleodotto che collega il sito d’estrazione petrolifera di Doba, nel sud del Ciad, al porto camerunense di Kribi, distante più di mille chilometri, è d’importanza cruciale per l’economia di N’Djamena (e per quella del Niger, che da anni gode di un diritto di transito concesso dal Ciad).

La strategia militare ciadiana, discussa ai primi di febbraio con le massime cariche dell’esercito nigeriano in occasione della firma di un accordo bilaterale(4), è di cercare di spezzare il fronte dell’avanguardia di Boko Haram in due – uno a est, al confine con il Niger e l’altro a ovest, al confine con il Camerun – con una tattica “a tenaglia”, utilizzando anche bombardamenti mirati della propria forza aerea, guidata dalle informazioni raccolte dai droni di ricognizione francesi che partono dalla base di N’Djamena(5).

La minaccia rappresentata da Boko Haram è solo in parte descrivibile attraverso le cifre che dal 2009 a oggi hanno macchiato di sangue gli stati del Nord-Est della Nigeria: oltre 13mila morti(6), centinaia di civili rapiti e deportati, oltre un milione e mezzo di profughi in fuga verso i Paesi limitrofi(7). Secondo fonti d’intelligence americane oggi Boko Haram conterebbe fra i 4 e i 6mila militanti che controllano una zona grande quanto il Belgio: più di 30 città e villaggi in tre regioni settentrionali della Nigeria. Sempre più spesso sconfina in località frontaliere del Camerun e del Niger per attacchi, razzie, rapimenti, stupri e rappresaglie contro i civili. Sono state proprio le nuove velleità d’espansione territoriale verso il Lago Ciad della setta jihadista che hanno dato vita alla reazione africana, dopo il fuoco di paglia dello sdegno internazionale per le 276 liceali rapite a Chibok nell’aprile dell’anno scorso.

Sul piano internazionale, tale impegno è stato ricompensato e il Ciad è riuscito, soprattutto grazie all’intervento al fianco della Francia in Mali e al contributo attivo alle missioni Onu in Mali e Centrafrica, a smarcarsi da anni d’isolamento: Déby ha ottenuto un seggio al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per il Ciad nel 2013, anno in cui ha promosso diversi summit sulla sicurezza in Africa per guadagnarsi credibilità e autorevolezza in seno alla comunità internazionale e accrescendo le proprie aspirazioni egemoniche regionali. Come spesso accade nelle parabole personali di alcuni presidenti (in questo è simile a Hollande), al prestigio all’estero fa il paio una forte crisi di consensi in patria: Déby, al potere da 24 anni grazie a un colpo di Stato militare(8), sta perdendo l’appoggio dei propri cittadini per diversi motivi. Il malcontento nei confronti del suo regime è principalmente legato ai cronici problemi economici – il Ciad è 184° su 187 nell’Indice di sviluppo umano –, al mancato sviluppo del Paese e all’aumento del prezzo della benzina che, quadruplicata all’improvviso nel novembre scorso, ha portato migliaia di persone a protestare nelle principali città: N’Djamena, Moundou e Sarh.

Alla popolarità in caduta libera di Déby (elezioni presidenziali sono previste per l’anno prossimo) si aggiungono le critiche internazionali che accusano il presidente del Ciad di avere rapporti pericolosi con i quadri di Boko Haram, come sostenuto perfino da Sambo Dasuki, capo dei servizi di sicurezza nigeriani, durante una conferenza in Inghilterra a fine gennaio(9). Oltre alla tolleranza di cellule dormienti (ora risvegliate) della setta dislocate da anni nei pressi del Lago Ciad, riconosciuta perfino da fonti interne all’esercito ciadiano(10), a pesare sulla credibilità di Déby c’è lo scandalo del suo stretto collaboratore Mahamat Bichara Gnoti, arrestato in Sudan il 17 novembre dell’anno scorso con 19 missili Sam2 dell’esercito sudanese destinati proprio a Boko Haram(11). Tale incidente e altri particolari situazioni in passato hanno valso a Déby l’appellativo di “Presidente di Boko Haram”(12). Appellativo che lui vorrebbe, ovviamente, scrollarsi di dosso.

Per Hollande, la guerra contro Boko Haram rappresenta una ghiotta occasione di allungare ulteriormente la longa manus francese sull’Africa occidentale e centrale. Con questa mossa la Francia potrebbe unire il fronte saheliano, dove è dispiegata Barkhane, a quello del Centrafrica e della Nigeria, come auspicato durante un summit sulla sicurezza dell’Africa organizzato a Parigi il 18 maggio dell’anno scorso, dopo la storica visita in Nigeria di Hollande del 27 febbraio dello stesso anno e sulle ali dell’interventismo entusiasta per la vicenda delle liceali di Chibok.

Se ufficialmente gli Stati Uniti hanno sempre apprezzato l’aiuto dei francesi, secondo diverse fonti diplomatiche Obama e il suo entourage in realtà vedrebbero con un certo fastidio la concorrenza della Francia che, oltre ad avvicinarsi pericolosamente al suo storico e ricco alleato nigeriano, contende agli Usa la palma di paladino della lotta al terrorismo in questa zona strategica del mondo(13).

In occasione dell’accordo bilaterale fra Ciad e Nigeria il 18 gennaio, Idriss Déby Itno ha invitato i paesi dell’Africa centrale e di tutto il continente a unirsi alla coalizione contro  Boko Haram «per dimostrare al mondo intero che l’Africa è capace di risolvere i propri problemi». «African solutions for African problems» è un mantra che si sente sempre ripetere ai vertici sulla sicurezza in Africa. Principale sponsor internazionale di tale deduzione semplicistica è proprio Barack Obama a cui piace coniugarla all’altrettanto sintetica “no boots on ground”, teoria secondo cui limitare o addirittura azzerare le perdite occidentali sarebbe l’unico modo per mantenere democraticamente sostenibile la lotta al terrorismo. Hollande, invece, attaccando unilateralmente nel gennaio 2013 Aqmi nel Nord del Mali si è dimostrato più interventista del suo omologo a stelle e strisce. Ma forse la congiuntura economica e la crisi interna di consensi lo potrebbero convincere ad attenersi, anche grazie al Ciad, alle nuove linee suggerite dalla potenza americana.

1. O da “pompiere piromane”, come viene apostrofato dagli oppositori, appellativo che negli ultimi anni fu anche di Blaise Compaoré ex-presidente del Burkina Faso deposto dalla sollevazione popolare del 30 ottobre 2014 che tanto ricorda, in politica regionale, l’amico Déby.

2. La scorsa settimana hanno destato polemiche le immagini riproposte in continuazione della tv di Stato del Ciad che mostrano alcuni soldati festeggiare davanti ai corpi senza vita di due presunti militanti di Boko Haram. Altro scandalo è scoppiato a seguito delle dichiarazioni di alcuni quadri militari del Ciad che, sotto anonimato, sostengono che molti dei caduti ciadiani della battaglia di Gambaru siano soldati della prima fila colpiti da fuoco amico delle retrovie, formate per lo più da elementi giovani e inesperti. Particolare che farebbe vacillare il “mito” della forza militare del Ciad.

3. Secondo la propaganda di Boko Haram l’esercito camerunense, a differenza di quello ciadiano, sarebbe scappato lasciando la propria gente in balia della vendetta jihadista. Queste dichiarazioni sottendono il tentativo di Boko Haram di destabilizzare e dividere il fronte africano anti-jihad.

4. Il 6 febbraio Nigeria e Ciad hanno firmato uno strategico Memorandum of Understanding (MoU) sulla falsariga di quanto deciso il 18 gennaio scorso durante un primo colloquio bilaterale sulla coordinazione delle forze contro Boko Haram. Il contenuto di tale memorandum rimane, però, segreto.

5. Non è un caso che la base di N’Djamena sia il quartier generale del dispositivo militare francese nella regione, l’operazione Barkhane che conta circa 3200 soldati scelti, il grosso dei quali di stanza a N’Djamena come lo Stato Maggiore, a soli 50 km dal confine con la Nigeria. La Francia ha recentemente ammesso di aiutare Ciad e Camerun con informazioni, supporto logistico, armi e rifornimenti. Smentite voci di bombardamenti francesi, ma confermata la presenza di dieci esperti militari francesi a Diffa in Niger per coordinare l’azione contro Boko Haram.

6. Di cui hanno fatto notizia quasi solamente le circa 2000 vittime della ripresa della battaglia di Baga (10 mila abitanti) e altri 15 cittadine e villaggi affacciati sulla sponda sud del Lago Ciad a inizio gennaio.

7. Da inizio gennaio, cioè dall’inizio degli attacchi contro Baga, sono circa 16mila i rifugiati nigeriani in Ciad. Alcuni hanno attraversato in canoa o a nuoto il Lago Ciad, altri sono rimasti bloccati sulle isole lacustri di Koulfoua e Kangalam, altri ancora sono scappati per la foresta. Migliaia di loro oggi vivono in campi profughi improvvisati dall’Unhcr come quello di Dar Assalam, regione di Bagasola, in Ciad. A metà gennaio l’Unhcr ha pubblicato un report in cui esprimeva viva preoccupazione per la situazione in generale e per alcuni rimpatri forzati di profughi riportati nella regione del Borno, Nord-Est della Nigeria, dalle autorità del Ciad contro la propria volontà e non considerando i rischi a cui andavano incontro. Da maggio 2013 con la proclamazione dello stato d’emergenza negli stati della Nigeria di Adamawa, Borno e Yobe i nigeriani in fuga avrebbero raggiunto quota 153 mila, di cui almeno 19 mila dall’inizio del 2015. Qualche migliaia si troverebbero anche in Niger.

8. Nel 1990, quando prese il potere, Idriss Déby disse: «Ho preso il potere con le armi e solo con le armi me lo toglieranno». Secondo molti abitanti del Ciad, quando Déby lascerà il potere si scatenerà una guerra civile per la sua successione.

9. Vedi intervento completo sui rapporti Déby-Boko Haram di Sambo Dasuki in Inghilterra all’indirizzo, in http://newsrescue.com/chad-president-idriss-Déby-links-boko-haram-leadership-nigeria-nsa-dasuki/#axzz3RGds4VMi

10. Le stesse fonti, però, sottolineano il cambiamento di attitudine durante gli ultimi mesi nei confronti dei miliziani di Boko Haram basati nella regione del Kanem, sul Lago Ciad, soprattutto a seguito del naufragio dei negoziati fra Nigeria e Boko Haram sponsorizzati proprio da Déby nel novembre scorso. Altre fonti locali che chiedono l’anonimato raccontano di un patto segreto di “convivenza pacifica” fra Déby e Boko Haram: il presidente garantiva il passaggio di armi e uomini provenienti dalla Libia e diretti in Nigeria a patto che il Ciad non fosse coinvolto nelle loro azioni.

11. Sulla questione Bisong Etahoben, giornalista investigativo camerunense, aveva scritto attraverso il suo account Twitter che Gnoti dichiarò che fu Déby in persona ad affidargli il compito, i fondi e i permessi ufficiali per passare la frontiera.

12. Vedi analisi di Peregrino Brimah, in http://m.news24.com/nigeria/MyNews24/Idriss-Déby-The-President-for-Boko-Haram-20141027

13. Vedi la visita in Francia di Ngozi Okonjo-Iweala, ministro congiunto dell’Economia e delle Finanze della Nigeria che da Parigi il 4 febbraio ha tirato le orecchie, in diretta alla Cnn, alla comunità internazionale «estremamente lenta a capire il problema e a intervenire» rinnnvando invece il proprio ringraziamento alla Francia, ai paesi vicini e amici della Nigeria, all’Ua e all’Ecowas. Dimenticando proprio gli Stati Uniti, storico partner economico e militare della Nigeria che anche in queste ultime settimane sta contribuendo con informazioni d’intelligence e ricognizioni satellitari alla lotta contro Boko Haram.

Andrea de Georgio, giornalista free lance di base a Bamako
Fonte: ispionline.it

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