Kenya: gravi problemi per la lotta al terrorismo

La corruzione dilagante, gli imperialisti occidentali, al-shabaab, i somali visti come bancomat ambulanti dai poliziotti kenioti, quegli stessi poliziotti indecisi su quale smartphone rubare al centro commerciale Westgate: tante le cause contro cui è facile puntare il dito, quel che è certo, però, è che, dopo gli attacchi terroristici, la vita dei somali in Kenia è diventata quasi impossibile. Basta avere dei lineamenti “somali” per finire in prigione. O meglio negli stadi blindati perché nelle prigioni ufficiali non c’è più posto. Katy Fentress analizza la situazione in Kenia dopo gli attacchi terroristici.

BOMBE IN CENTRALE

Mercoledi 23 Aprile, ore 20:50, scoppia un’autobomba nella centrale di polizia di Pangani, un quartiere nella zona est di Nairobi.

Al volante dell’autovettura ci sono due persone di sesso maschile che erano state fermate poco prima a un blocco della polizia per guida in controsenso.

Il quotidiano The Standard racconta che, dopo essere stati fermati, i due sospetti cercano di far ripartire la macchina e scappare. Dopo un po’ i poliziotti decidono di scortare la macchina e i conducenti in centrale per poter fare accertamenti.

Due degli agenti entrano nell’autovettura, mentre altri due la seguono da vicino con un’autovettura propria.

La bomba scoppia nel momento in cui la macchina attraversa il cancello della centrale, ammazzando le quattro persone che si trovavano dentro.

Poco dopo, racconta il settimanale East African, agenti della polizia controllano una macchina sospetta parcheggiata fuori della centrale e vi trovano dentro un altro ordigno esplosivo. L’ordigno viene disinnescato dagli artificieri e non ci sono ulteriori vittime.

TERRORISMO IN KENIA

E’ oramai quasi un mese che l’operazione Linda Usalama (Osservatorio di Pace) è stata dichiarata dal governo Keniota. L’obiettivo dell’operazione è di stringere il nodo su tutti i terroristi in Kenia. La realtà, tuttavia, sembra quella di una repressione sistematica dei diritti di tutte le persone Somale o di origini Somale che risiedono nel paese.

I Somali sono in genere accusati d’essere responsabili di tutte le bombe e sparatorie che accadono in Kenia dal 2011. Durante il massacro del centro commerciale Westgate nel settembre scorso, i militanti che hanno ammazzato decine di persone dichiaravano di essere parte di Al Shabaab (La Gioventù), il gruppo armato Somalo sorto dopo che sono state smantellate le corti islamiche a Mogadiscio nel 2006.

Non è possibile verificare se tutte le bombe che sono state lanciate negli ultimi due anni siano lanciate da persone d’origini Somale o direttamente connesse ad Al Shabaab. Questo è in gran parte perché non ci sono state rivendicazioni in seguito alle esplosioni. Durante l’attacco a Westgate, Al Shabaab rivendicava il proprio ruolo per l’intera durata della crisi su Twitter. Resta però il fatto che nell’immaginazione popolare (aiutata in gran parte dai media) i colpevoli sono sempre i Somali.

I Somali però sono anche quelli che hanno perso più vite durante questi attacchi che, per molti inspiegabilmente, accadono spesso proprio a Eastleigh, quartiere Somalo di Nairobi conosciuto come “Little Mogadishu” (Piccola Mogadiscio).

La maggior parte dei Somali che risiedono in Kenia sono nati qui o sono scappati dalla violenza nel loro paese, emigrando in paesi nuovi nella speranza di potersi ricostruire una vita che vale la pena vivere.

INVADERE I VICINI PORTA PROBLEMI

Nel 2011, in seguito ad una serie di rapimenti di cooperanti accaduti a Dadaab – l’enorme campo profughi al confine con la Somalia, il governo Keniota lancia Operazione Linda Nchi, con l’obiettivo di annientare Al Shabaab. Poco dopo quest’incursione militare cominciano i primi attacchi terroristici in Kenia.

Inizio 2013: il paese va alle urne per votare il nuovo presidente. Nei tre mesi precedenti vengono lanciate bombe a mano in minibus, nightclub, chiese e altri raduni popolari a Nairobi, la città costiera Mombasa e la città di confine Garissa. In seguito alle elezioni non ci sono ulteriori attacchi fino al 22 Settembre quando comincia l’assalto a Westgate.

I mesi successivi dell’attentato a Westgate la situazione rimane calma. La gente si riprende dall’impatto della strage e comincia di nuovo a vivere. Il 23 Marzo di quest’anno, due persone armate entrano in una chiesa in un quartiere di Mombasa e cominciano a sparare sulla folla, ammazzando in tutto sei persone e ferendone venti.

Una settimana dopo tre bombe vengono lanciate dentro un ristorante a Eastleigh. Sei persone restano uccise e altre dodici ferite.

MAKABURI E LE SENTENZE DI MORTE EXTRA-GIUDIZIALI

Il giorno dopo la bomba a Eastleigh, viene ammazzato a Mombasa uno sceicco radicale Keniota chiamato Abubakar Shariff Ahmed, alias “Makaburi”.

Makaburi era sotto il mirino anti-terroristico per le sue pubbliche dichiarazioni a sostegno dei terroristi da vari anni. In seguito alla sparatoria nella chiesa aveva lodato i responsabili e spesso andava in onda in radio per esortare i giovani radicali del paese affinché si dedicassero alla violenza.

Tutti danno per scontato che l’uccisione di Makaburi porta la firma degli agenti del governo. Questo è il Kenia e le uccisioni extra giudiziali sono all’ordine del giorno. Il governo dice che investigherà l’assassinio ma nessuno ci crede veramente.

OPERAZIONE LINDA USALAMA

Inizio Aprile e il governo annuncia che tutti i Somali rifugiati che non si trovano nei campi profughi, devono tornarci immediatamente. Inoltre viene lanciata un’operazione per identificare e mandare a casa tutti gli immigrati che non sono in possesso dei documenti e visti necessari. Questo comprende pure le persone che hanno già inoltrato domanda ma stanno aspettando che il ministero rilasci i documenti di residenza necessari per poter restare nel paese.

E questa volta le forze dell’ordine fanno sul serio. Nel primo giorno dell’operazione Linda Usalama vengono arrestate 400 persone. I numeri si moltiplicano nei giorni successivi. Ben presto non c’è più spazio nelle prigioni e cominciano a riempire lo stadio Kasarani nella zona est della città. Attivisti e gruppi per la tutela dei diritti umani lanciano l’allarme: si dice che ci sono più di 3000 uomini, donne e bambini nello stadio, senza servizi adeguati. Tanti affermano che per finire dentro, basta non avere soldi in tasca per pagarsi la libera uscita. Molti cominciano a domandarsi se questo veramente è un metodo efficiente per eliminare il problema del terrorismo in Kenia.

LA CORRUZIONE FOMENTA IL TERRORISMO

Le immagini di militari Kenioti che uscivano da Westgate durante l’assedio durato tre giorni, carichi di bottino rubato all’interno del centro commerciale, sono state difficili da digerire. Accettare che in questo momento di tragedia nazionale, le forze che dovrebbero difendere i cittadini, stavano pensando piuttosto a quale smartphone rubare dal negozio di telefoni cellulari è stato un duro colpo. E’ forse fino a questo momento che molti hanno cominciato a realizzare fino a che punto la corruzione mette a repentaglio la vita di tutti.

La corruzione va oltre alla “soda” (eufemismo locale per mancia), comprata al vigile quando si è fermati per guida al telefono. La corruzione è più della bustarella che si paga per far andare più veloce una pratica al Comune. La corruzione è più del favore che si fa al dirigente di un ente dello Stato per poter far sistemare il proprio figlio in un lavoro salariato.

La corruzione vende passaporti, residenze e documenti a persone che usano la violenza come mezzo di comunicazione. La corruzione chiude un occhio quando passa un veicolo sospetto a un blocco armato. La corruzione fa uscire di prigione il criminale arricchito, mentre lascia a marcire dentro la persona innocente povera.

La corruzione fa sì, che i Somali in Kenia siano oggi visti dalle forze dell’ordine come bancomat ambulanti. Potevi essere chiunque nei primi giorni dell’operazione Usalama, potevi avere tutti i tuoi documenti appresso e in ordine, ma se avevi la faccia Somala non importava: o paghi o vieni internato nel “centro di concentramento” (come è stato definito su Twitter) dello stadio di Kasarani.

Quanti terroristi veri sono scappati durante quei giorni e inversamente quante persone che non avevano alcun collegamento al terrorismo sono state deportate? Quante donne e quanti bambini sono finiti in detenzione per giorni, per crimini che non avevano commesso? Quante famiglie si sono viste la porta di casa abbattuta le notti seguenti, da agenti a cui il pagamento della notte prima non è bastato?

Non abbiamo ancora un reso conto di questi numeri. Quello che sappiamo pero è che il governo Keniota approva l’operazione Usalama. I Kenioti di classe media PER LO PIU’ approvano l’operazione Usalama. I governi Occidentali non hanno fiatato (non che al governo Keniota gliene importi granché oramai) e quindi possiamo dedurre che hanno tacitamente approvato.

E quindi cosa possiamo pensare? Che i Somali siano tutti dei criminali che ci vogliono morti? Che si meritino meno diritti degli altri perché tra loro ci sono persone determinate a commettere atti di violenza? Che i Siciliani sono tutti Mafiosi?

Non è facile trarre conclusioni chiare e semplici. E’ facile puntare il dito contro le forze dell’ordine corrotte Keniote. E’ facile puntare il dito contro i Somali. E’ facile puntare il dito contro i Mussulmani. E’ facile puntare il dito contro gli Imperialisti Occidentali.

Quello che non è facile è trovare una soluzione ad un problema che continua a crescere, che impatta sulla vita di tutti e che continuerà ad allargarsi ed espandersi per tutto il mondo se non riusciamo a trovare un modo per creare un vero dialogo interculturale, che non è segnato dagli interessi economici delle persone a cui affidiamo la nostra salvaguardia.

Katy Fentress

 

 

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