Immigrazione: quelle false credenze

Di Giovanna Zincone, pubblicato su La Stampa del 20 gennaio 2014

L’immigrazione stimola affermazioni che poco hanno a che fare con la realtà. Faccio qualche esempio. Lo ius soli è una fabbrica di italiani fasulli, perché per avere la cittadinanza basta nascere qui, con la possibilità magari di passarla ai genitori.

Falso. Le proposte in pole position prevedono un certo numero di anni di soggiorno regolare dei genitori o dei bambini, per quest’ultimi qualche progetto lascia spazio anche ai minori arrivati da piccoli che però hanno studiato in Italia. Aggiungo che la cittadinanza è una strada a senso unico: va solo dai genitori ai figli, non viceversa.

Altro esempio: se si abroga il reato d’immigrazione clandestina saremo invasi da orde di stranieri. Falso. Il reato è stato introdotto con il pacchetto sicurezza Maroni nel 2009 (non dalla Bossi-Fini come si continua a dire) e riguarda anche gli irregolari, cioè coloro che sono entrati legalmente, spesso con un visto turistico, ma il cui permesso è scaduto. La punizione non è il carcere, ma una salata ammenda che gli immigrati non sono in grado di pagare, quindi in base al principio giuridico ad impossibilia nemo tenetur (a nessuno si può chiedere l’impossibile), ne consegue solo che si intasano tribunali che avrebbero di meglio da fare.

Gli immigrati irregolari sono comunque detenuti nei CIE (Centri di identificazione e di espulsione) per individuare la loro identità e quindi il paese di origine dove rimandarli alla base. È una misura introdotta dalla Bossi-Fini. Falso. La denominazione deriva dalla fase uno del pacchetto Maroni, quella del 2008, e il meccanismo è stato introdotto dalla Turco-Napolitano del 1998, che li definiva più pudicamente CPT (Centri di Permanenza Temporanea). Il tempo massimo di detenzione era allora di 20 giorni, prorogabili dal giudice fino a 30. I governi di centro-destra lo hanno continuamente alzato, arrivando a 6 mesi e infine dal 2011, in base alla direttiva comunitaria sul rimpatrio degli irregolari, si potrebbe arrivare fino a 18 mesi.

L’aumento dei tempi di permanenza nei Centri ha peggiorato drammaticamente le condizioni degli immigrati lì trattenuti. Di fatto, i CIE sono talora peggio tenuti delle nostre prigioni (ed è tutto dire) e racchiudono in gran parte persone che non hanno alcuna pericolosità sociale. È uno strumento non particolarmente efficiente. Si stima che coloro che finiscono nei CIE siano una percentuale infima degli irregolari ( poco più dell’1%) e che di questi solo poco più del 50% venga rimandato in patria: gli immigrati nascondono la propria nazionalità e i paesi di origine non hanno alcun interesse a riprenderli, perché sono potenziali fonti di rimesse.

I Governi, quello italiano incluso, cercano di invogliare gli Stati di origine a riaccogliere i propri emigrati irregolari attraverso accordi economici, sostegno alle forze dell’ordine locali, quote riservate nei flussi di immigrazione programmati. In qualche caso, ad esempio l’Albania, questa politica ha funzionato. Il contrasto dell’immigrazione clandestina si rafforzerebbe se anche gli aiuti derivanti dalla cooperazione allo sviluppo fossero condizionati ad atteggiamenti collaborativi in questa materia.

Quello dell’immigrazione irregolare è un nodo difficile da sciogliere: non si possono spalancare le frontiere, soluzioni insieme efficaci e giuste non sono pronte all’uso. Certo non serve tuonare allo scandalo. Tanto più che chi troppo spesso predica male, in passato non ha esitato a favorire gli immigrati irregolari. La Lega al governo ha varato, proprio in concomitanza con la Bossi-Fini, tanto vituperata dalla sinistra, una delle più grandi regolarizzazioni europee. Il fatto è che l’immigrazione sfugge alla presa delle leggi. Gli squilibri economici globali, le guerre, i conflitti civili sono motori troppo potenti.

L’Italia affetta da buonismo e disattenta ai propri interessi non seleziona i lavoratori sulla base dell’utilità. Falso. I Governi Italiani lo fanno da un pezzo, da quando hanno adottato gli ingressi programmati vengono specificate quantità e qualità degli immigrati ammessi. Ci sono non solo quote riservate agli Stati che si riprendono gli irregolari, ma anche quote per le professioni e le qualifiche scarse sul mercato nazionale. Inoltre alcune categorie ‘pregiate’ possono entrare senza restrizioni.

Si aggiunga che l’Italia ha recepito la Carta Blu europea che offre condizioni di privilegio agli immigrati altamente istruiti. Se gli immigrati più qualificati non scelgono l’Italia è perché non trovano le nostre offerte economiche e accademiche particolarmente attraenti. Invece le badanti trovano famiglie che le richiedono, anche se la crisi economica, da una parte, ha contratto questa domanda e, dall’altra, ha spinto un po’ di italiane ad offrirsi per questa occupazione.

Altra affermazione non solo poco fondata, ma pericolosa. Non diamo priorità agli immigrati provenienti da paesi culturalmente affini. Ma non è forse anche e molto questo l’Unione Europea? Non è stato anche questo il senso dell’allargamento ad Est? Oggi l’immigrazione dei neo-comunitari sta preoccupando inglesi e tedeschi, terrorizzati dal famoso idraulico polacco, ma non gli italiani che si tengono stretti, se possono, colf e muratori rumeni. Inoltre introdurre limitazioni o blocchi all’immigrazione da paesi islamici, significherebbe per l’Italia, discriminare soprattutto i marocchini che costituiscono la nostra seconda minoranza dopo i rumeni. Non definirei proprio il Marocco uno stato fondamentalista.

Sottolineo che discriminare i mussulmani potrebbe suscitare reazioni internazionali e persino interne molto gravi. A chi si preoccupa per rischi di attacco ai valori repubblicani va ricordato anche che dal 2012 è entrato in vigore l’Accordo di Integrazione in base al quale si chiede a chi voglia lavorare in Italia di impegnarsi a seguire un percorso di integrazione e di accettare la carta dei valori, che prevede tra l’altro la parità di genere e la tolleranza religiosa. Non è una ricetta miracolosa, ma non vedo molte ricette migliori. Insomma, non concordo con Angelo Panebianco, un collega che per altri versi stimo molto e che ha sostenuto queste tesi. Credo però che il dissenso si debba esprimere con argomenti non con secchiate di vernice.

Ultima affermazione infondata. Cécile Kyenge non è adatta a fare la Ministra perché è un’oculista. Falso. Dovremmo forse nominare solo politologi e costituzionalisti, che magari sanno assai poco della materia? Oppure equanimi odontoiatri come Calderoli?

Kyenge, prima di essere nominata, ha operato a lungo nelle organizzazioni che si occupano di immigrati e ne sa molto più dei suoi tanti critici. Soprattutto rispetto a loro è persona bene educata, cortese, con un forte senso delle istituzioni e del ruolo che ricopre. Scusate se è poco.

Fonte: fieri.it

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