Gentiloni: «Migranti e Isis, serve più cooperazione» (Vita)

Gestione dell’immigrazione a livello interno, ma soprattutto europeo; transizione libica; conflitto siriano; Isis. Questi sono mesi in cui la politica estera è davvero centrale nel dibattito internazionale.

Con la nomina di Mario Giro a viceministro che completa l’assetto istituzionale quale ruolo può giocare la politica di cooperazione su ognuno di questi fronti?

Le sfide legate alla gestione dei rifugiati e dei migranti rendono improcrastinabile un nuovo

approccio integrato, tale da garantire le condizioni per una migrazione sicura, ordinata e regolare, nel rispetto dei diritti umani. In anni recenti, la Cooperazione italiana ha agito con determinazione per combattere proprio quelle cause profonde all’origine dei flussi migratori. Ad esempio in Senegal, Niger e nel Como d’Africa ha avviato azioni di resilienza, sicurezza alimentare e nutrizionale, contrasto al degrado e al cambiamento climatico, sostegno all’occupazione e ai settori produttivi, sostegno alla scolarizzazione e all’imprenditoria femminile. L’Italia ha promosso nel 2014 il cosiddetto Processo di Khartoum ed è tra i fondatori del Trust Fund Ue di emergenza per le migrazioni in Africa, lanciato a La Valletta lo scorso novembre. Il Fondo è destinato a 23 Paesi partner africani e a noi è stato affidato il primo progetto, del valore di 20 milioni di euro, che mira a creare condizioni favorevoli per lo sviluppo economico e l’occupazione in Etiopia. Quanto alla crisi siriana dal 2011 ad oggi la Cooperazione italiana ha contribuito con interventi del valore di 84 milioni di euro, includendo anche gli aiuti ai rifugiati siriani – oltre 4 milioni – in Libano, Turchia, Giordania, Iraq ed Egitto. Nei prossimi anni faremo molto di più. Anche la crisi libica ha avuto gravi conseguenze nell’ambito dei flussi migratori: la Cooperazione italiana è intervenuta di recente, stanziando 1,4 milioni di euro in interventi di prima emergenza realizzati dagli organismi internazionali.

Laura Frigenti si è insediata al timone della nuova Agenzia per lo sviluppo a inizio gennaio. Quali sono i punti di forza del suo profilo? Quale mandato e che tipo di budget le è stato affidato? Come si distinguono il ruolo e le competenze dell’Agenzia da quello della Dgcs?

La nuova direttrice ha un profilo professionale di assoluta eccellenza e di grande rilievo in ambito internazionale, avendo lavorato per quasi 20 anni alla Banca Mondiale, fino a diventare presidente del Global Development Practice. Già nella delicata fase di avvio ha confermato le sue grandi capacità. Frigenti potrà gestire all’incirca 358 milioni di euro stanziati dalla Legge di Stabilità. Quanto alle competenze, l’Agenzia sarà il soggetto operativo, alla Farnesina spettano le scelte di indirizzo.

In termini di aree di intervento quali le priorità nel prossimo triennio?

Negli ultimi anni, la Cooperazione italiana ha concentrato le risorse in tre aree: Nord Africa e Medio Oriente; Como d’Africa allargato, inclusi il Sudan, l’Uganda e la Tanzania; e la regione saheliana. L’obiettivo è creare le condizioni di sviluppo economico e di tutela dei diritti fondamentali che rappresentano lo strumento migliore per creare stabilità e crescita contro le minacce del terrorismo, del radicalismo violento e la migrazione irregolare e incontrollata. L’Italia continua il suo impegno, oltre che nell’ambito del rafforzamento dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani – inclusa la promozione dell’uguaglianza di genere – nell’agricoltura e nella sicurezza alimentare, valorizzando la legacy di Expo 2015 e della Carta di Milano. Vogliamo, poi, investire nel futuro dei giovani, e quindi salute, istruzione, formazione e cultura sono al centro dell’agenda.

La legge 125 riconosce i soggetti del privato for profit come possibili enti di cooperazione internazionale. Dal suo punto di vista quale deve essere il loro perimetro di azione e di conseguenza come cambierà il modello italiano di cooperazione nei prossimi anni?

Da tempo il sistema italiano della cooperazione si basa sull’interazione di molteplici soggetti, pubblici e privati, profit e non profit. Tale realtà era riconosciuta anche dalla normativa precedente la legge attuale. Già da tempo, inoltre, le grandi imprese italiane realizzano azioni di responsabilità sociale d’impresa in partenariato con Ong italiane. La Legge 125/2014 ha voluto disegnare un quadro più organico e funzionale, in cui tutti i soggetti di cooperazione vedono riconosciuto il loro ruolo specifico. La nuova legge ha inoltre previsto nuovi e più efficaci strumenti per realizzare le iniziative di cooperazione, sia dal punto di vista tecnico-operativo – penso, ad esempio, al ruolo di Cassa Depositi e Prestiti come istituzione finanziaria – che dal punto di vista politico-rappresentativo: è quest’ultimo il caso del Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo, organo in cui trovano voce tutte le diverse anime della cooperazione.

Ha in mente un intervento di “nuova cooperazione” già in essere che possa fungere da best practice a cui ispirarsi?

La Cooperazione italiana ha già realizzato significative azioni di partenariato pubblico-privato, in particolare nelle filiere produttive agricole. Penso ad esempio al programma “Café y Caffè”, che è stato premiato dal concorso “Feeding knowledge” di Expo, realizzato dall’Istituto Agronomico per l’Oltremare (adesso confluito nell’Agenzia) in America Centrale. Il programma ha aiutato le piccole aziende familiari produttrici di caffè di qualità centroamericane a migliorare la propria situazione economica e ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività, associandosi ed adottando rigorosi protocolli di produzione e trasformazione basati sulle tecniche colturali tradizionali che hanno reso il loro caffè “unico” e rispondente all’esigente e crescente nicchia di mercato “gourmet”, anche italiano. Parallelamente, si è favorita la valorizzazione del ruolo e delle capacità delle donne. Programmi analoghi sono in corso in Etiopia, nelle filiere del grano duro e del caffè.

L’ultimo rapporto dell’Ocse/Dac sui dati del 2014 conferma l’inversione di tendenza degli Aps italiani che tornano a crescere. Quante chance ci sono di vedere l’Italia agguantare il famoso quarto posto ambito da Renzi nella classifica del G7 entro il 2017? È possibile un bilanciamento degli aiuti oggi molto appiattiti sul multilaterale a favore del bilaterale?

L’incremento delle risorse del Maeci si inserisce nella strategia di questo Governo per conseguire l’obiettivo finale del raggiungimento dello 0,7 del rapporto Aiuto Pubblico allo Sviluppo/Reddito Nazionale Lordo in linea con gli impegni internazionali. La legge di Stabilità 2016 ha aumentato le risorse a disposizione per la Cooperazione allo sviluppo di ben 120 milioni di euro per il 2016, che diventeranno 240 milioni nel 2017 e 360 nel 2018. Rilanciamo così finalmente  profilo internazionale del nostro Paese. Ci sarà poi anche un progressivo riequilibrio del rapporto tra la quota dell’Aps destinato al canale multilaterale e quella utilizzata attraverso il canale bilaterale. Al raggiungimento di questo risultato contribuirà naturalmente anche l’azione dell’Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, che nei prossimi mesi avvierà le proprie attività.

Fonte: esteri.it

 

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