Egitto: nuova realtà, vecchia propaganda di regime

Cairo, 14 maggio, 2012 – Mentre l’Egitto si prepara per le elezioni presidenziali che si terranno tra meno di due settimane, il paese si trova sull’orlo del baratro. Le tensioni sono state alimentate per più di un anno e la pazienza degli egiziani è quasi finita. Si erano definiti come custodi della stabilità ma molti si sentono traditi dai militari diventati governanti “de facto” da quando Mubarak ha lasciato il potere nel febbraio del 2011.

di Shahira Amin*

“I generali al governo che ci avevano promesso stabilità ci hanno dato solo violenze e repressioni,” lamenta l’attivista 24enne Tarek Ali durante una protesta due settimane fa di fronte il ministero della difesa ad Abbasia.

Le violenze tra gli attivisti pro-democrazia e le forze di sicurezza scoppiate sporadicamente durante il periodo di transizione sono state al centro della stampa locale, tuttavia c’è stato ancora una volta un contrasto netto tra la copertura mediatica indipendente delle violenze e ciò che ha mostrato la tv di stato egiziana.

Gli attivisti democratici accusano la televisione di stato di aver lanciato una campagna diffamatoria contro di loro che, sostengono, è riuscita a far rivoltare contro di loro l’opinione pubblica.

La campagna diffamatoria
“Subito dopo le proteste di massa dello scorso anno, chiunque era orgoglioso dei giovani attivisti che avevano avviato la nostra rivoluzione”, dice il tassista Maher Sobhy. “Adesso li odiamo per aver causato caos e instabilità.”

La campagna di vilipendio ricorda una simile campagna avviata dalla tv di stato durante i 18 giorni di sollevazioni di massa dell’anno scorso. La televisione di stato è stata a lungo descritta dai critici come una “macchina di propaganda” del defenestrato regime autoritario. Inizialmente l’emittente televisiva aveva trattato le proteste anti-Mubarak come non-eventi, descrivendo gli attivisti democratici come “agenti stranieri” e “anarchici”.

Il marchingegno televisivo per la manipolazione

Durante le manifestazioni pro-Mubarak del 1 febbraio 2011, i canali della TV di stato avevano esagerato il numero dei manifestanti sostenendo che “le strade erano invase da migliaia di sostenitori di Mubarak”. In realtà ce n’erano appena un centinaio. Molti egiziani così si sintonizzavano sui canali satellitari stranieri e visitavano i siti dei social network come Facebook e Twitter per seguire gli eventi che si svolgevano al centro del Cairo. Gli arrabbiati manifestanti di Tahrir Square mostravano cartelloni denunciando e ridicolizzando la tv di stato e soprannominando i presentatori che lavoravano lì come “bugiardi”.

Tuttavia nel bel mezzo della rivolta, la televisione aveva fatto un’improvvisa inversione a U adottando un tono maggiormente pro-rivoluzionario.

Gli studiosi dei media avevano interpretato il cambiamento come un segnale del fatto che il regime stesse perdendo la sua presa sul potere. Tuttavia il cambiamento era arrivato troppo tardi e la tv di stato aveva già perso molti spettatori.

Per poche settimane dopo la caduta di Mubarak, la televisione di stato aveva cercato di riconquistare credibilità. I personaggi dell’opposizione, compresi gli islamici che erano stati tenuti alla larga, furono invitati a parlare nei talk shows, e i giornalisti della TV pubblica facevano un evidente sforzo per aumentare la credibilità delle loro reti attraverso servizi giornalistici più obiettivi e basati sui fatti.

Il ritorno alle vecchie abitudini

L’aria di libertà aveva avuto vita breve e i capiredattori, insieme ai presentatori, tornarono subito alle loro vecchie abitudini. Gli impiegati statali ricominciavano a praticare l’auto-censura dopo che molti giornalisti ed ospiti di dibattiti televisivi che lavoravano per i canali privati erano stati ripresi dalla procura militare dopo le loro critiche nei confronti del regime militare.

Due bloggers furono processati nei tribunali militari per aver comunicato i loro punti di vista nei blog e su Facebook. Una decisione che faceva sapere ai giornalisti e alle tv che il Consiglio supremo delle forze armate (SCAF) non avrebbe tollerato le critiche.

Tamer Hanafi, un presentatore tv che lavorava per l’emittente di stato araba Nile TV, è stato indagato pochi mesi dopo la rivoluzione per essersi rifiutato di chiudere il suo programma, su richiesta del manager della tv pubblica, subito dopo che il suo ospite, il famoso attivista Bothayna Kamel, aveva criticato in diretta i militari al potere.

Tamer, con la faccia rossa dalla rabbia, aveva detto agli spettatori di aver ricevuto l’ordine di chiudere il programma, aggiungendo che tuttavia avrebbe continuato perché secondo lui non c’era nulla di sbagliato nei commenti di Bothayna.

Altri presentatori e giornalisti che avevano cercato di alzare la testa contro la censura furono subito ripresi dai loro capi negli ultimi mesi. Scoprendo che la posta in gioco era alta — la perdita del posto di lavoro — la maggior parte degli impiegati statali tornò alle vecchie maniere, seguendo ubbidientemente le direttive dei superiori.

“Leggi questo!”

I volti delle notizie in tv si lamentano del fatto di dover leggere ciò che i loro superiori ordinano loro senza metterne in discussione la fonte. Una giornalista di lunga carriera, che ha deciso di parlare restando anonima, ha detto di essere stata costretta a leggere che “la Legge d’Emergenza è stata varata per garantire le libertà” e che “i manifestanti a Kasr El Eini lanciavano pietre contro le forze militari” invece di dire che c’era stato uno scambio di lanci di pietre.

“Qualsiasi giornalista televisivo che devia dalla linea adottata dallo stato finisce nei guai,” lamenta la stessa. Durante la maggior parte delle proteste, la televisione di stato ha mandato in onda immagini esclusive degli scontri in corso registrate dal ministero dell’interno, la maggior parte delle quali mostra i soldati e la polizia in assetto antisommossa come vittime invece che come aggressori.

I militari hanno preso il posto di Mubarak

E’ cambiato poco nell’ambiente dell’emittente di stato in cui il presentatore lamentava il fatto che il “SCAF avesse rimpiazzato Mubarak”.

Il presentatore aveva spiegato disperatamente che il generale militare nominato ministro dell’informazione adesso controllava tutte le emittenti e si assicurava che la tv di stato continuasse a diffondere messaggi di propaganda sulla scarsa sicurezza, l’influenza straniera negli affari interni egiziani, le minacce che le Ong finanziate dall’estero pongono per la sicurezza nazionale o il crollo del mercato finanziario.

Il fazioso reportage giornalistico della tv di stato sugli scontri forieri di morte di ottobre tra i manifestanti copti e le forze di sicurezza aveva innescato un’altra ondata di forti critiche sulla tv pubblica, guadagnandosi ancora una volta l’ira del pubblico.

Accusando i nuovi networks

Le reti di notiziari venivano accusate di incitare la violenza settaria a causa della quale furono uccise almeno 27 persone — tra le quali alcune sono morte schiacciate dai carri armati — dopo che la presentatrice di punta del primo canale, Rasha Magdy, esortò i musulmani a “proteggere l’esercito dagli attacchi dei cristiani”.

”Anche se successivamente una commissione d’inchiesta ha scagionato la tv pubblica, i critici come l’esperto di media Hisham Qassem, dicono che il ripetersi degli errori del passato è costato all’emittente la sua reputazione a vita.

Sedici mesi dopo l’avvio della rivolta in Egitto, gli egiziani devono ancora lottare per digerire decenni di repressione e per trasformare il loro paese in una società democratica e libera. In un paese in cui il 35 per cento della popolazione è analfabeta ed è fortemente dipendente dall’emittente pubblica per quanto riguarda le informazioni, una tv di stato fortemente politicizzata e partigiana è un ostacolo importante per il processo democratico.

TV di stato faziosa, ostacolo importante per processo democratico

“I generali al potere che in diverse occasioni durante la rivoluzione hanno girato i loro fucili verso i manifestanti pacifici usano la tv pubblica come se fosse un’altra arma per uccidere la rivoluzione,” dice l’attivista 29enne Waleed Hamdy. Sanno che è uno strumento potente e lo usano per perseguire i loro interessi.”

 

*Shahira Amin è una famosa giornalista ed analista egiziana. Attualmente è presentatrice/corrispondente per Nile TV e una contributor CNN. Amin ha dato le dimissioni da NileTV dopo un’aperta protesta contro la copertura faziosa, pro-regime della rivoluzione egiziana, a cui lei ha partecipato attivamente a Tahrir Square. Shahira Amin è conosciuta per la sua instancabile difesa della libertà, della democrazia, della giustizia sociale e dell’uguaglianza di genere. Il suo articolo è stato pubblicato per prima da UNCUT Index on censorship.

 

Fonte: Human Wrongs Watch

 

 

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