Crisi rifugiati: ma è questa l’Europa che vogliamo?

Dati e fatti dalle ultime cronache sulla crisi rifugiati. Acrobazie linguistiche sul Brennero. Ancora Idomeni, ancora le isole dell’Egeo, nell’umiliante periferia sudorientale dell’UE. Il desolante bilancio della “relocation” appena stilato dalla Commissione di Bruxelles. Mentre il sistema degli hotspot “all’italiana” arriva in Europa.

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Il progetto di barriera “anti-migranti” dell’Austria al Brennero in una cartina pubblicata sul sito dell’ANSA.

Infrastrutture & storture

Adesso a Vienna la chiamano «infastruttura di controllo», come l’ha definita la ministra degli Interni Johanna Mikl-Leitner. Ma la barriera anti-migranti che l’Austria ha iniziato ad allestire al Brennero, oltre che l’Italia ora preoccupa anche la Commissione Europea.

Relocation, dove sei?

La Commissione ha informato ieri che i richiedenti asilo “ricollocati” da Grecia e Italia negli altri Paesi membri dell’UE ad oggi sono appena 1.145 sulle decine e decine di migliaia «legalmente previsti». Le cose vanno meglio rispetto agli impegni di “resettlemùent”. Ma se i rifugiati “reinsediati” dalla Turchia dopo l’accordo del 18 marzo sono 74, le persone respinte (deportate) in Turchia sono già 325.

Ad altezza d’uomo, anzi di bambino

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Foto MSF, aprile 2016.

Domenica 10 aprile. Tensione a Idomeni, sul confine greco-macedone, dove sono sempre bloccati oltre 11 mila rifugiati e migranti. La polizia della Macedonia usa gas lacrimogeni, spara proiettili di gomma e lancia granate assordanti. Le équipe di Medici senza frontiere assistono centinaia di persone, fra cui una quarantina di feriti da proiettili di gomma. Tre di queste ultimi, con lesioni alla testa, sono bambini.

53 mila bloccati in Grecia

Nell’ultima settimana sono sbarcate sulle coste greche meno di 100 persone al giorno: è la media settimanale più bassa mai registrata nella “crisi rifugiati”. Ma fra isole (circa 7.000 persone) e continente (46 mila), secondo l’UNHCR i migranti bloccati in Grecia sono oltre 53 mila.

Le prigioni dei vulnerabili

Dopo aver avuto accesso a due centri di detenzione sulle isole di Lesbo e Chio, Amnesty International ha denunciato che «migliaia di rifugiati e migranti sono detenuti in condizioni agghiaccianti, nella crescente incertezza e angoscia di cosa accadrà loro sulla base dell’accordo tra Unione europea e Turchia» del 18 marzo. Operatori di Amnesty hanno visitato i due centri, quello di Moria a Lesbo e il VIAL a Chio, il 5 e 6 aprile, dove si trovavano 4.200 internati, in buona parte sbarcati in Grecia dopo il 20 marzo. Gli operatori hanno incontrato 89 di questi rifugiati: «Molti erano in condizioni di particolare vulnerabilità: donne incinte, bambini e neonati, persone con disabilità, traumi e malattie gravi».

Paesi “più uguali” degli altri: calcoli sbagliati, porte chiuse…

L’AIDA (Asylum Information Database, il “progetto-database” guidato a livello europeo dall’ECRE) ha pubblicato alla fine di marzo il rapporto comparativo Wrong counts and closing doors. The reception of refugees and asylum seekers in Europe. Vi si legge tra l’altro: «Il 2015 ha marcatamente messo in evidenza, nell’atteggiamento dei Paesi europei verso rifugiati e richiedenti asilo, le differenze di trattamento basate sulla nazionalità di provenienza», anche se la Convenzione di Ginevra del 1951 e la Carta dei diritti fondamentali dell’UE stabiliscono che tutti i rifugiati devono essere trattati allo stesso modo, senza riguardo al Paese da cui sono fuggiti. Alcuni Paesi hanno consentito l’ingresso solo ad alcune nazionalità. Altri hanno imposto formalmente restrizioni ai richiedenti provenienti da Paesi (cosiddetti) “sicuri”.

… e il caso degli hotspot “all’italiana” arriva in Europa

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Altri paesi ancora, invece, fanno pensare al ricorso a una regime “nationality-based” nell’applicare forme di detenzione. Sono le differenze di trattamento «nella prassi».

È il caso, fra l’altro, dell’Italia. Scrive sempre il rapporto Wrong counts and closing doors: «Dopo l’inaugurazione dell’”approccio hotspot” cittadini di Nigeria, Gambia, Senegal, Marocco, Algeria e Tunisia sono indirizzati a centri di detenzione sulla base della presunzione che non hanno bisogno di protezione. Questo “filtraggio” è operato solo sulla base di una valutazione sommaria, tramite un sintetico questionario (il “foglio notizie”, clicca qui o a destra per vederlo), oppure domande orali subito il loro arrivo, senza la necessaria presenza di mediatori culturali. Mentre nei casi in cui alla fine vengono rilasciati si trovano ad affrontare indebiti ostacoli nel trovare accoglienza, come è avvenuto per un gruppo di nigeriani rilasciati dal CIE di Bari Restinco».

Fonte: viedifuga.org, migrantitorino.it

 

 

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