Cinema africano Verona: conferenza

 

La proiezione di AFRICAMIX continua, con tanti film nelle sale e un nuovo importante appuntamento: un convegno a tema, AFRICAMIX: le nuove frontiere della comunicazione sociale, legato al Concorso Le frontiere della comunicazione audio-visiva nella cooperazione internazionale.

IL CONVEGNO

Si comincia alle 15, al teatro Camploy (via Cantarane 32), con la tavola rotonda AFRICAMIX: le nuove frontiere della comunicazione sociale a cura di Patrizia Canova, responsabile per la comunicazione dell’ong ACRA. Intervengono: Mimmo Lombezzi, giornalista Mediaset, autore di Storie di Confine; Fabio Pipinato, direttore di Unimondo; Fabrizio Colombo, direttore di Nigrizia Multimedia e co-direttore artistico del Festival; Maurizio Corte, giornalista de L’Arena; Emanuela Gamberoni e Maria Gabriella Landuzzi dell’Università degli Studi di Verona.

I FILM

Nei cinema del Festival continua la programmazione dei film in concorso.

Al Santa Teresa, alle 18.30 si replica il lungometraggio sudafricano fuori concorso Uhlanga – The mark (Premio “Verona” al festival del Cinema Internazionale di Zanzibar).

Alle 21 tornano due film in concorso: Demain, Alger?, cortometraggio sulla difficile scelta di quattro ragazzi algerini: emigrare in Europa o restare? seguito da Combien tu m’aimes? – Kedach ethabni, lungometraggio che racconta il profondo rapporto che, in un momento difficile, si crea tra un bambino di 8 anni e sua nonna.

Al Cinema Stimate alle 21 verranno proiettati due documentari: Kinabuti: in our ghetto (di Marcus Werner Hed, Nigeria/Gran Bretagna) e Twende Berlin (Upendo Hero – Dr. Farasi, Kenya/Germania).

Kinabuti: in our ghetto narra la preparazione della sfilata di Kinabuti, marchio di moda nigeriano, che lanciò la sua prima collezione nel dicembre 2010, lavorando con indossatrici non professioniste: le 22 selezionate tra le 160 aspiranti modelle da varie comunità di Port Harcourt (capitale del Delta del Niger). Nei venti giorni precedenti all’evento, il regista svedese ha documentato questo progetto, riservando una speciale attenzione a tre ragazze: Elizabeth, Heart e Ini, seguendole nella loro vita quotidiana, e descrivendone i sogni, il desiderio di emergere per migliorare la loro vita.

Twende Berlin racconta invece di un gruppo di musicisti keniani che si trova in tour a Belino: il loro viaggio, che affronta il tema della riappropriazione degli spazi pubblici, offre uno sguardo diverso sulla capitale tedesca.

Al Teatro Camploy, alle ore 21, è il momento della sezione Viaggiatori & Migranti, con quattro proezioni. Il primo, cortometraggio italiano fuori concorso, è In nome del popolo italiano (di Gabriele Del Grande, Stefano Liberti, Italia), storie di vita di ragazzi nati in Italia e rinchiusi in un Centro di identificazione ed espulsione (Cie). Non hanno commesso alcun reato, ma rischiano di passare anche diciotto mesi dietro la sbarre, per una detenzione convalidata da un giudice di pace “in nome del popolo italiano”: un documentario breve per dire che nessun essere umano è illegale, nemmeno se lo dice una legge!

Segue Aicha è tornata (di Juan Martin Baigorria – Lisa Tormena, Itali), film in concorso, che racconta la migrazione di ritorno di sei donne marocchine: le difficoltà, le umiliazioni e il rimpianto per una condizione di libertà conquistata in Europa.

aicha è tornata – film documentario from Sunset Studio on Vimeo.

 

Il terzo film della serata è il secondo dei due film a tematica LGBT in concorso Silent Stories (Hanne Phlypo, Catherine Vuylsteke, Algeria/ Belgio/ Francia), ritratto poetico di due uomini e due donne la cui identità sessuale li costringe a lasciare rispettivamente Dakar, Algeri, Conakry e Baghdad. Un film pieno di speranza e di vita, che esalta i colori di un futuro ancora tutto da scoprire.

Ultima pellicola in programma per la serata di giovedì è ancora un fuori concorso: Geremia, le pareti del mio cuore (di Marco Campedelli, Italia): in prima visione italiana, il cortometraggio s’ispira al libro biblico di Geremia. Nel cuore di una città si aggira il profeta nelle vesti di un barbone. Il film si snoda nei volti e nelle voci di gente di strada o di giovani stranieri dalle vite ferite ma piene di dignità: una denuncia silenziosa e dolente nei confronti di una città che si ostina a non vedere, e un invito ad aprire gli occhi verso l’Invisibile.

 

Fonte: comunicato stampa

 

 

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