Caporalato, i numeri della schiavitù italiana

Sfruttati, sottopagati e spesso maltrattati. È la folta schiera dei lavoratori agricoli, 400mila di cui l’80% stranieri, finiti nelle grinfie del caporalato che pur di avere una fonte di sostentamento sono costretti a subire condizioni capestro e una misera paga. Più di dodici ore di fatica nei campi per un salario di 25-30 euro al giorno, meno di 2 euro e 50 l’ora. È quanto emerge da uno studio di The European House- Ambrosetti su dati Flai Cgil relativi al 2015, presentato al convegno di Assosomm-Associazione italiana delle agenzie per il lavoro.

 Il settore agroalimentare produce nel Belpaese 32 miliardi di valore aggiunto (2%) e impiega 905.000 persone (3,7% del totale), ma è ancora ostaggio, come si legge nella dettagliata analisi, di «un’organizzazione del lavoro che si tramanda da secoli e porta con sé un elevatissimo tasso di irregolarità».

Chi è costretto a sottostare all’inflessibile legge dei caporali riceve una paga pari alla metà di quanto stabilito dai contratti nazionali, da cui bisogna sottrarre i costi del trasporto, circa 5 euro, l’acquisto di acqua e cibo, l’affitto di alloggi spesso fatiscenti e l’acquisto di medicinali. 

Fenomeno che appare ancora molto radicato sul territorio nazionale tanto da incidere anche sulle casse dello Stato, causando un mancato gettito contributivo valutato in circa 600 milioni l’anno. 

Il caporalato è diffuso capillarmente in Italia.

 Sono almeno 80 i distretti agricoli dove l’illegalità predomina: in 33 di questi sono state riscontrate condizioni di vita e di lavoro ‘indecenti’ mentre in 22 casi lo sfruttamento viene definito ‘grave’. I braccianti in certe situazioni ambientali e di sicurezza precarie devono fare i conti con il sovraccarico, l’esposizione alle intemperie, l’assenza di accesso all’acqua corrente (riguarda il 64%) e ai servizi igienici (62%). 

Attività estenuante. 

Solo nell’estate 2015, secondo una stima del rapporto, le vittime del caporalato sono state almeno 10 di cui 5 tra Puglia e Basilicata.Il caso più emblematico è la morte di Paola Clemente che nonostante fosse cardiopatica ogni giorno dopo un lungo viaggio, partendo dalla sua casa di San Giorgio Jonico, raggiungeva i vigneti di Andria per l’acinellatura dell’uva sotto il sole cocente.
E la mattina del 13 luglio scorso dopo essersi sentita male perse la vita. Caporali senza scrupoli e datori di lavoro compiacenti che non rispettano la salute altrui. 

Il 74% dei lavoratori soggiogati dai cosiddetti sfruttatori di braccia è malato e presenta disturbi che all’inizio della stagionalità non si erano manifestati. 

Le malattie riscontrate sono per lo più curabili con una semplice terapia antibiotica ma diventano croniche in assenza di un medico a cui rivolgersi e di soldi per l’acquisto delle medicine. Un quadro allarmante che diventa ancor più desolante quando i protagonisti sono migranti.

Paradossale un episodio avvenuto a Foggia denunciato dal segretario generale della Flai Cgil, Caniele Calamita: «La filiale di un istituto bancario tra i più importanti del capoluogo dauno a seguito di una transazione chiusa dalla nostra categoria non ha voluto cambiare l’assegno emesso da un’azienda a copertura delle mancate e pregresse retribuzioni non percepite dal lavoratore straniero. Per fortuna l’operazione è andata in porto grazie all’interessamento e alla disponibilità della filiale foggiana di Banca Etica».

Fonte: www.avvenire.it, migrantitorino.it 

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