Burkina Faso: intervista al rapper Smockey Bambara

Ouagadougou, Burkina Faso, nel cuore arido dell’Africa dell’Ovest. Nel nome del cambiamento, Monsieur Serge Martin Bambara, in arte Smockey, alza il pugno che regge la ramazza, simbolo del movimento civile “Le Balai Citoyen .

Il Burkina Faso respira aria di mobilitazione dall’estate del 2013, all’indomani della prima vera grande manifestazione nazionale contro il presidente Blaise Campaoré, al governo da quasi 27 anni, una triste costante del panorama politico africano.

Il rapper Smockey e il cantante raggae Samsk’ le Jah, storicamente Sama Karim, si trovano alla guida di un movimento di protesta e di “pulizia civile”, come recita il motto del gruppo “Balai Citoyen”, che come suggerisce il logo stesso (la ramazza nel pugno chiuso), mira a costruire una democrazia che non è di fatto mai nata in Burkina Faso. Si tratta di una voce piena di speranza, una voce che prova a sprigionarsi in tutta la sua forza, oltre la mano che copre la bocca.

Noise From Africa incontra il rapper franco-burkinabé e prova a capire il Burkina Faso di oggi, le speranze e le difficoltà del movimento“Le Balai Citoyen”.

D: Il movimento “Le Balai Citoyen”: ci potresti riassumere in breve cosa vuol dire per te, per la gente che come te scende in piazza a vostro fianco e a che modelli si ispira il movimento? Cosa vuol dire nonviolenza per i ragazzi come voi?

R: Si tratta di un un movimento politico della società civile, ma non è un partito politico, nel senso che non vogliamo conquistare il potere o chissà quale carica decisionale. Il nostro scopo è formare un blocco civico di pressione, che sia capace per numero e livello di preparazione politica, di obbligare i nostri governanti a lavorare per il bene del popolo. Da questa idea deriva il nostro slogan: “il nostro numero è la nostra forza”.

D: Qual è la situazione del Burkina Faso di Blaise Compaoré?

– un presidente al potere da 27 anni che si prepara a un gioco di forza (non ha mostrato fino ad ora alcuna volontà di ritirarsi), sia attraverso un referendum per modificare l’articolo 37 della Costituzione, che limita a due il numero dei mandati presidenziali, sia proponendo un periodo di transizione post-mandato per dare tempo al paese – così afferma – di evitare una crisi. Questo suo disegno è sostenuto dal partito al potere, del quale è esponente (CDP) e da un’associazione messa in piedi da suo fratello (FEDAP BC)

– una società civile costituita da giovani, determinata e unita in gruppi e strutture organizzative che si oppongono apertamente alla candidatura di Blaise Campaoré, e che sta tentando di fondersi in una coalizione

– un’opposizione rinvigorita dagli ultimi successi, in particolare le marce condotte dal leader del principale gruppo all’opposizione (CFOP), Zephirin Diabre, ulteriormente rafforzata dalla fuoriuscita dei membri dimissionari del CDP, che hanno creato un nuovo partito (MPP)

– Dunque una situazione nazionale che favorisce la mobilitazione, soprattutto via via che ci si avvicina alla data fatidica del 2015 (fine del mandato di Blaise Campaoré).

D: Come risponderesti a chi teme che, messo da parte Blaise Campaoré, il Burkina Faso cadrebbe nel disordine, come è già accaduto altrove?

R: La società civile in questo frangente ha avuto e ha ancora il tempo di prepararsi per evitare che l’esercito faccia il proprio gioco. E’ per questo che esortiamo i giovani a mobilitarsi e ad organizzarsi per evitare che si avveri quanto alcuni prevedono. E noi siamo convinti che sia possibile realizzare una transizione pacifica e democratica, che permetterebbe alle istituzioni, nuovamente legittimate, di compiere il proprio dovere. In ogni caso, presto o tardi, Blaise Campaoré lascerà il potere, e allora tanto vale che questo accada grazie alla volontà di un popolo preparato e adeguatamente motivato ad accogliere nuove sfide. D’altronde, un po’ per scherzo, diciamo che saremmo pure disposti ad accettare un incapace, purché eletto dal popolo, dal momento che in ogni caso romperemmo con il ciclo infernale della dittatura.

D: Che importanza hanno le idee di Thomas Sankara per il movimento?

R: Le idee di Thomas Sankara costituiscono una base fondamentale per i giovani in movimento, che possiedono poco, ma che hanno delle grandi ambizioni. Le sue riflessioni ed esperienze costituiscono un’eredità preziosa, una potente fonte di ispirazione per tutti i nostri membri, tanto che Thomas Sankara è stato nominato dal movimento “1° CIBAL” (membro del movimento “Le Balai Citoyen”)

D: Quali difficoltà incontrate nella mobilitazione? Il desiderio di cambiamento è largamente condiviso?

R: Internet è utilizzato da una minima parte della popolazione, e dunque non può rappresentare il nostro asse principale di mobilitazione, soprattutto all’interno del Paese. Questo ha reso necessario far nascere dei club cibal in gran parte dei quartieri delle piccole e grandi città, che desideriamo riunire in sezioni regionali. La difficoltà risiede nel fatto che occorre continuamente stimolare questi club perché continuino ad esistere.

D:”Vivere africani, per vivere liberi e degni”, che cosa significa per voi oggi?

R: E’ la verità. Thomas Sankara non ha fatto che constatare l’alienazione mentale nella quale gli Africani sono tenuti, con e contro la loro volontà. “Vivere africani” significa vivere liberarsi del complesso d’inferiorità ereditato dalla colonizzazione, produrre e consumare prodotti africani, per non dipendere da progetti e investimenti di origine estera, essere autosufficienti e indipendenti: questa è l’unica via per riconquistare la propria dignità e libertà.

D: Come percepisci le relazioni esistenti tra Africa ed Europa? Gli Europei come dovrebbero considerare l’Africa, e viceversa? Che cosa possiamo fare per produrre un cambiamento di prospettiva?

R: Lo percepiamo, attraverso le parole e le azioni di chi è al potere, come un rapporto tra dominante e dominato, che disgraziatamente influenza anche le popolazioni locali nel loro rapporto con l’altro, con lo straniero. Gli Europei dovrebbero considerare l’Africa come un continente “madre” (culla dell’umanità e della civiltà) e trattarlo come tale, riconoscere ufficialmente e deplorare la tratta degli schiavi, così come il furto delle risorse che continua ancora oggi, spesso sotto la maschera della cooperazione. Gli Africani dovrebbero considerare l’Europa come un continente “fratello”, il cui percorso e la cui esperienza, in termini, potrebbe permettere loro di uscire dal sottosviluppo, perdonando ai popoli europei i secoli di sfruttamento spesso portato avanti malgrado la loro volontà, da un’elite politica che rappresenta una certa idea di potere e di egemonia, idea che si esprime attraverso la ragione del più forte.

Per cambiare questa percezione da una parte e dall’altra, credo che i popoli e in primo luogo le classi dirigenti, debbano iniziare a basare i loro scambi sulle idee di giustizia, trasparenza ed equità, in modo che questi costituiscano un reale profitto per le due parti, privilegiando l’aspetto umano, il senso di appartenenza a un “tutto”, a un’unica umanità.

D: La Francia ieri e oggi: che cosa dovrebbe fare il Burkina Faso per emanciparsi definitivamente dall’influenza della vecchia madre-patria?

R: In primo luogo riscoprire i propri valori culturali ed esprimerli con fierezza, mettendo fine a qualsiasi senso di inferiorità; questo cambiamento passa anche attraverso la decisione coraggiosa d’insegnare e privilegiare una delle nostre lingue nazionali, per rendere accessibili le idee di auto-sviluppo a tutti, includendovi i nostri valori.

Infine produrre e consumare burkinabé, come affermava il presidente Thomas Sankara, ispirandosi – perché no – a un modello economico “altro”, senza però l’eterna tutela paternalista, che perpetua la dipendenza; applicare semplicemente la celebre formula di Joseph Ki-Zerbo: “non si sviluppa, ci si sviluppa”. Essere indipendenti, emanciparsi, è dunque una questione di volontà, e ancora una volta eminementemente politica.

D: Le tue canzoni sono piene di speranza per il popolo del Burkina Faso ( «On a perdue la bataille , MAIS Pas la guerre ” in “Hymnes à la bravoure”). Pensi che il tuo popolo comprenda, oggi, le tue parole?

R: Non tutti evidentemente, in un Paese con un tasso di analfabetismo che va dal 70 all’80%, ma l’essenziale è che coloro che comprendono, possano trasmettere il messaggio agli altri. Per me la lingua è, prima di tutto, un potente mezzo di comprensione del mondo: non ho scelto io il francese come mia prima lingua; mi si è imposto per la mia storia, ma serebbe stupido non sfruttarlo, visto che costiuisce un elemento di forza. D’altronde anche Norbert Zongo, giornalista emerito assassinato nel 1998, le cui idee si sono diffuse in Burkina Faso e nel mondo, si esprimeva e scriveva in francese nel suo giornale “L’Indépendent”, spesso tradotto nelle lingue nazionali su richiesta della popolazione, avida degli scandali, delle inchieste e delle notizie di cui lui si occupava.

D: Secondo te, che cosa ha impedito al popolo burkinabé di sollevarsi contro Blaise Campaoré per fare emergere la verità su Thomas Sankara? Perché Sankara non è così conosciuto in Europa come, invece, lo è in Africa?

R: Nel suo insieme, il popolo burkinabé ha subito una rivoluzione che non ha avuto la possibilità di comprendere. Sankara anticipava i tempi, e lo constatiamo oggi con tutte le idee che ha realizzato nel periodo della rivoluzione – in soli quattro anni – e che oggi sono diventate degli standard di sviluppo. D’altro canto il popolo burkinabé, a cui è stata nascosta la verità – non dimentichiamo che Sankara e Blaise sono sempre stati presentati come dei fratelli tra i quali il primo aveva tradito l’amicizia del secondo – ha impiegato molto tempo per comprendere la verità, cosa che non è accaduta nel resto dell’Africa; un tempo che Blaise ha usato per mettere la museruola alla società civile, ottenendo il consenso dei capi carismatici, dei capi religiosi, delle comunità, dei sindacati, che ha subito valorizzato, avallando l’idea che Sankara fosse il colpevole di tutti i loro mali. Dimentichiamo spesso la campagna aggressiva per gettare discredito nei confronti di Sankara e delle sue idee; una campagna machiavellica portata avanti da Campaoré già all’indomani dell’omicidio di Sankara, e di cui troviamo numerose testimonianze negli archivi. Non gli è stato sufficiente uccidere suo fratello, ha anche dovuto infangarne la memoria. Il popolo, successivamente, ha tentato di sollevarsi a più riprese, e in particolare durante la crisi del 1998 dovuta all’assassinio di Norbert Zongo, ma il potere, che si è sempre appoggiato all’esercito, e che quindi ha utilizzato la forza in modo strategico e repressivo, ha fatto delle promesse solenni al popolo, promesse che non sono state mantenute, mentre i crimini, di ogni genere, continuano. Sankara è meno conosciuto in Occidente perché le sue idee disturbavano e disturbano, mettono in crisi il dominio e lo sfruttamento; Sankara costituisce inoltre un precedente che potrebbe ispirare altri. D’altronde alcune nazioni occidentali, e in particolare la Francia, sono coinvolte nel suo assassinio; da qui deriva l’omertà.

D:Quanto tempo è passato dal tuo ultimo viaggio in Europa? Che cosa pensi della situazione europea attuale?

R: Non è passato molto tempo dal mio ultimo soggiorno in Europa. La situazione mi sembra precaria e i paesi hanno difficoltà a superare la crisi. E le politiche espansionistiche sempre più aggressive, così come gli indicatori sociali, non rassicurano affatto sulla buona salute delle economie europee (interventi militari, progetto Africom, le molteplici reazioni e tentativi di competizione per limitare la presenza cinese in Africa, nuovi accordi e investimenti, indurimento delle misure contro l’immigrazione, diffusione delle idee dell’estrema destra, ecc….); tutto questo mi porta a pensare che l’Europa è oggi più che mai debitrice della propria buona salute nei confronti degli stati africani. Siamo tutti nella stessa barca e dobbiamo fare attenzione che questa barca non sia fallata da nessuna parte.

D: Hai ricevuto aiuto dal mondo musicale francese? E che cosa pensano di te in Francia?

R: Non ho mai ricevuto aiuti di alcun tipo da parte del mondo musicale francese; alcuni affermano di apprezzarmi, ma credo che la maggior parte, semplicemente, mi ignori. Bisogna dire che non sono veramente presente nei media francesi. Una situazione che mi appresto a cambiare attraverso l’uscita della mia prossima opera, un album doppio.

D: Le tue origini europee hanno costituito un ostacolo o un vantaggio nella tua carriera di musicista?

R: Un punto di forza, credo. In ogni caso nella creatività. Se le mie radici non mi hanno permesso di sapere esattamente ciò che volevo, attraverso di esse ho compreso però ciò che non volevo. Ho trovato un nuovo ideale di vita, in un luogo di cui ho padronanza, per esservi nato e cresciuto, conservando uno sguardo realista sulla situazione che prevale nel resto del mondo, e una consapevolezza che deriva da numerosi viaggi ed esperienze all’estero. Questo mi ha allo stesso tempo permesso di avere un ricco repertorio di tematiche da sfruttare, ma è anche vero che talvolta subisco delle affermazioni sempliciste e ingiustificate, dalle sfumature xenofobe, per le stesse ragioni, le mie origine meticce; ad esempio alcuni mettono in dubbio il mio impegno, affermando che mi indigno facilmente perché posso prendere un aereo andarmene in qualunque momento. Queste persone dimenticano che il Burkina Faso è un paese circondato da sei frontiere, e che esistono mille modi per fuggire, per esempio via terra, e con maggiori garanzie di risultati, visto che le nostre frontiere son tutte malamente sorvegliate.

D: E nel movimento «Le Balai Citoyen» le tue origini europee hanno un peso? Fanno la differenza?

R: Allo stesso modo, all’interno del Balai Citoyen, la mia esperienza personale mi induce ad avere una certa cautela nel rendere responsabili gli occidentali e gli stranieri di tutti i nostri mali, come al contrario accade in altri movimenti di liberazione, o di stampo nazionalistico. Non mettere sullo stesso piano i politici occidentali ingiusti nei confronti degli Africani, e i popoli occidentali che li subiscono esattamente come noi. Ma all’interno del Balai, la differenza non è così palpabile, e mi sembra che siamo tutti riuniti sotto la stessa bandiera, ci sentiamo delle vittime che vogliono farla finita coi carnefici. I nostri ideali comuni mitigano le differenze.

Intervista di Francesco Loiacono e Ileana Prezioso

Originale su: http://noisefromafrica.wordpress.com/2014/04/03/il-burkina-faso-che-vuole-cambiare/

Fonte: pressenza.com/

 

 

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