Stragi in Mediterraneo: intervista a Gentiloni

Gentiloni: ‘C’è chi fa demagogia davanti ai cadaveri in mare ma l’Italia non è egoista’ (Repubblica)

di Giampaolo Cadalanu

ROMA. “Chi spaccia demagogia contro i migranti non risolve nulla. E per fortuna la maggioranza degli italiani non si fa incantare. Ma non voglio fare polemiche politiche». Nel giorno in cui le foto dei “puntini’ alla deriva occupano le prime pagine dei giornali internazionali, dopo l’ennesima strage nel Canale di Sicilia con centinaia di esseri umani annegati, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni sottolinea: «Noi abbiamo trasmesso al mondo l’immagine di chi, nonostante le difficoltà, si fa carico dei soccorsi. Ai nostri confini Schengen vediamo scene che sono un monumento all’egoismo».

Ministro, in tema di immigrazione l’Ue ha fatto qualche passo avanti?

«Si, ma l’Europa è ancora largamente al di sotto di quanto la sua stessa civiltà imporrebbe».

La missione militare Eunavfor, che si propone di contrastare il traffico di esseri umani, può essere il primo passo per risolvere il caos nel Mediterraneo?

«Sia chiaro che non c’è nessuna incipiente missione militare in Libia. Siamo concentrati sulla dinamica politica interna. La missione navale ha un obiettivo limitato, contrastare e neutralizzare il traffico di esseri umani che continua a fare vittime nel Mediterraneo”.

Cosa serve, oltre alla mobilitazione Ue?

“Servono passi avanti nel negoziato tra libici. L’accordo firmato il 12 luglio in Marocco dal Parlamento di Tobruk e dalle componenti di Misurata, di Zintan, e da varie municipalità dell’area di Tripoli, è un buon punto di partenza, dovrebbe indurre il Congresso generale nazionale (Gnc) di Tripoli a partecipare. Ad Algeri ho detto al presidente del Gnc Nouri Abusahmain: senza di voi l’accordo sarà più debole, ma non pensate che la vostra assenza lo impedisca. La settimana prossima l’inviato Onu Bernardino Leon riconvocherà le parti per esaminare gli allegati dell’accordo, spero che il Gnc decida di intervenire».

Tornando ai migranti, l’Ue è pronta a fare la sua parte in tema di accoglienza?

«Quanto c’è di comunitario nel fronteggiare il problema immigrazione ha sicuramente origine italiana. E dobbiamo rivendicarlo. Dopo la tragedia in mare di cinque mesi fa, Renzi ha chiesto un vertice straordinario Ue e si è individuata un’agenda europea sull’immigrazione. Da lì sono derivate le operazioni comuni di questi mesi e la ricollocazione di 32 mila migranti. Certo, tutto questo è al di sotto dell’entità del problema. Da Calais a Ventimiglia, si rischiano tensioni tra grandi Paesi per il transito di poche centinaia di persone».

Che altro può essere fatto dall’Europa?

«Sappiamo bene che le uniche misure vincenti nel lungo periodo sono quelle che aiutano i Paesi di origine dei migranti. Ma serve l’impegno comune sull’accoglienza. A livello europeo, va ribadito che quello che oggi colpisce Italia e Grecia domani potrebbe coinvolgere altri Paesi nel nord dell’Unione: basta pensare alla crisi ucraina per capirlo. Chiudere gli occhi o peggio alzare muri non è all’altezza dell’Unione europea».

Lei è appena rientrato da una missione a Teheran. Qual è il bilancio?

«Per i prossimi mesi e anni, l’Iran è una scommessa che l’Occidente ha interesse a fare. Dietro l’intesa del 14 luglio non c’è solo il controllo sul programma nucleare di Teheran, ma anche le prospettive di riconoscimento di un Paese così importante nelle dimensioni politiche economiche della regione. Nell’immediato sarà decisivo il percorso di accettazione dell’accordo in forme diverse in Usa e nello stesso Iran. Tra dicembre e gennaio saranno eliminate le sanzioni principali: si aprono prospettive importanti sul piano economico. Pochi anni fa l’Italia aveva un interscambio di sette miliardi di euro, eravamo il primo partner commerciale, oggi lo scambio vale 1,5 miliardi ma non si cancellano relazioni che hanno sessant’anni di storia. Gli accordi sono in preparazione, uno della Fata, gruppo Finmeccanica, è già pronto. La Sace ha firmato un’intesa che risolve i contenziosi per far ripartire il credito all’estero fino a tre miliardi, l’Eni ha quasi risolto i contenziosi ancora in piedi. E l’Iran ha apprezzato il “format” della nostra visita, con la politica che va in parallelo al business”.

Come mai l’Italia, che ha sempre vantato questi rapporti, non fa parte del 5+1?

“Una dozzina di anni fa il governo decise di non partecipare. Ritengo sia stato un errore, ma questo non ha impedito all’Italia di giocare un ruolo sul piano diplomatico. Il nostro è un Paese che non ha un’agenda politica nascosta o volontà egemoniche. L’Italia ha una forte propensione a scambi e commerci, ed è una superpotenza culturale. Questo ci permette di ottenere due risultati: rassicurare i Paesi della regione con cui abbiamo ottime relazioni sull’attuazione dell’accordo — penso a Israele e Arabia Saudita — e assieme cercare di coinvolgere l’Iran in dossier regionali come Siria o Libano. Teheran può avere un ruolo importante nella lotta al terrorismo”.

Lei ha appena Incontrato il collega saudita: diverse voci denunciano un ruolo di Riad nel sostegno all’islam radicale e anche al terrorismo di Daesh, il sedicente Stato Islamico. Che ne pensa?

“L’Arabia Saudita non è affatto sponsor del terrorismo. Al contrario, è bersaglio di azioni di Daesh. All’interno dell’islam sunnita c’è una lotta mortale fra Daesh e movimenti qaedisti da una parte e i governi dei paesi custodi dei luoghi santi dall’altra. E Riad è sempre più coinvolta in questa lotta. Tra Italia e Arabia Saudita le relazioni economiche sono eccellenti, così come la collaborazione su diverse crisi regionali. Tutto ciò sarà rilanciato nella prossima visita del presidente del Consiglio a Riad”.

Fonte: esteri.it

 

 

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