L’ITALIA DEVE CONFRONTARSI COL PROPRIO PASSATO 

Quest’articolo ci è stato inviato qualche giorno fa. È di Fasil Amdetsion, avvocato di origini etiopi, cresciuto tra Roma e New York. Questo suo scritto è stati pubblicato per la prima volta su diplomaticourier.com

L’ITALIA DEVE CONFRONTARSI COL PROPRIO PASSATO PER TENERE LONTANA L’ESTREMA DESTRA

 

Si prevede che quest’anno l’aumento primaverile delle temperature renderà più profonda la crisi europea dei rifugiati, portando ad un aumento significativo del numero di migranti tormentati che si avvicinano alle coste europee. L’Italia, con i suoi litorali lunghi e porosi, continua ad essere una delle nazioni più toccate dal fenomeno; 15.000 persone hanno cercato rifugio nella nazione negli ultimi tre mesi— un aumento del 43% rispetto allo scorso anno.

Così come avviene in tutta Europa, l’incremento dei migrati ha spronato la rinascita di un sentimento razzista. Nell’Italia settentrionale dei militanti dell’estrema destra hanno bruciato le sale di preghiera musulmane nei campi dei rifugiati, e spesso se la prendono con gli stranieri.

A destare maggiore preoccupazione, vi è il fatto che tale estremismo sta diventando sempre più comune. Vale la pena ricordare, che la Lega Nord, considerata moribonda appena nel 2013, quando otteneva circa il 3-4% nei sondaggi, è tornata improvvisamente in vita sfruttando i cavalli di battaglia del suo popolare leader— Matteo Salvini— e la sua dose quasi quotidiana di vituperosa retorica anti-immigrati. Il partito ora ottiene il 15% nei sondaggi e oscilla tra il terzo e il quarto posto a livello nazionale.

Molto del supporto per l’estrema destra deriva dalla frustrazione degli italiani riguardo il flusso apparentemente inarrestabile dei migranti, ma proviene anche dall’opinione esaltata della storia dell’estrema destra italiana. Molti italiani romanticizzano la storia dell’Italia fascista, e in particolare le sue imprese all’estero, il che rende il supporto per i partiti dell’estrema destra accettabile non solo per gli estremisti, ma anche per gli elettori che appartengono a correnti più centriste.

Un’opinione comune (e non solo tra gli italiani) è che il colonialismo italiano sia stato di una sfumatura più lieve e gentile di quello praticato dagli altri europei. Ciò è una percezione fondamentalmente errata dell’abominevole storia dell’Italia fascista.

Accertarsi che gli italiani abbiano una conoscenza migliore e meno romantica dei aspetti domestici ed internazionali del fascismo è importante. Quanto più saranno informati, tanto meno sarà possibile che gli italiani diventino vittima delle false credenze diffuse dai partiti di destra riguardo il passato e il presente, e tanto più sarà possibile che un numero maggiore di italiani rifiuti le politiche anti-immigrati sostenute dall’estrema destra.

L’Italia in Africa: un passato raccapricciante

​Nel volume I del suo capolavoro di 4 volumi che racconta le relazioni tra Italia e l’Africa Orientale dalla metà del 19° secolo agli anni ’70 del Novecento, lo storico Angelo Del Boca apre con un prologo intitolato, “attenzione” in maiuscolo. Al suo interno, Del Boca scrive che il suo libro racchiude la “storia di un popolo povero [italiano] spinto da minoranze irresponsabili e da un insano concetto del prestigio nazionale ad aggredire e sottomettere popoli ancora più poveri.”

Egli aggiunge che il suo lavoro ha l’intenzione di smascherare il mito secondo cui il colonialismo italiano fosse “’diverso’, cioe’ più umano, più illuminato, più tollerante” degli altri colonialismi europei…”

​Nella metà degli anni ’30, benché l’Italia fosse una figura minore nella geopolitica coloniale, i possedimenti italiani in Africa includevano la Libia, l’Eritrea e la Somalia. Mussolini intendeva espandere il nascente impero della sua nazione incorporando con la forza l’Etiopia; facendo così, egli avrebbe vendicato la sconfitta dell’Italia da parte dell’Etiopia nel 1896 e avrebbe permesso, in seguito alla successiva e sperata conquista del Sudan, di controllare un tratto di terra che andava dalla costa mediterranea della Libia alle rive della Somalia lungo il Mar Rosso.

Gli sforzi bellici dell’Italia fascista in Etiopia furono avvelenati fin dal principio. Al fine di sconfiggere il nemico, gli italiani impiegarono quantità enormi di soldati, bombardarono indiscriminatamente villaggi e campi e ambulanze della Croce Rossa; ancora più vergognosamente, utilizzarono gas tossici, nonostante il fatto che l’Italia fosse firmataria del Protocollo di Ginevra del 1925 che ne bandiva l’uso. Non meraviglia, quindi, che il Maresciallo Graziani, comandante delle forze italiane sul fronte meridionale, promise di consegnare l’Etiopia al Duce “con gli etiopi o senza, come egli desidera.”

La perpetrazione delle atrocità continuò senza sosta dopo la conquista. L’occupazione italiana dell’Etiopia durò dal 1936 al 1941, con il controllo italiano limitato principalmente alle aree urbane, poiché le campagne ricadevano per la maggior parte sotto il dominio dei patrioti impegnati nella guerriglia. Anche qui, come indicato in un telegramma inviato a Graziani, Mussolini ordinò che fossero usati bombardamenti aerei gratuiti e gas tossici per demolire ogni traccia di resistenza.

Gli atti sfrontati di resistenza pubblica innescavano le più selvagge rappresaglie. Nel 1937, dopo un attentato contro Graziani (che era stato nominato Viceré) ad Addis Abeba da parte di due eritrei (con il supporto, a quanto risulta ora, di una vasta rete clandestina di etiopi ed eritrei che lavoravano congiuntamente), il regime fascista scatenò una folla di fascisti militanti contro la città. Per tre giorni, migliaia di fascisti seminarono il terrore nella capitale etiope, saccheggiando a volontà, sparando indiscriminatamente, e usando lanciafiamme, pale, pugnali, asce e martelli per attaccare civili in modo casuale.

Al termine di tutto ciò, nel corso di pochi giorni, erano stati uccisi tra 30.000 (stime etiopi) e 3.000 (stime italiane) etiopi. Che la conta delle vittime si avvicini a uno degli estremi di questo intervallo, o che si posizioni a metà strada, il comportamento raccapricciante dell’amministrazione di occupazione mise bene in mostra le barbarie fasciste.

Descrivendo il massacro in un telegramma, il Console Generale Americano presso Addis Abeba scrisse: “Non vedevo una tale sfrenata dimostrazione di brutalità e codardia dai tempi dei massacri armeni.” In un rapporto per Londra, il rappresentate britannico osservò: “[S]e i fatti fossero conosciuti all’estero in ogni disgustoso dettaglio…il nome dell’Italia puzzerebbe al naso del mondo civilizzato.”

I luoghi di culto non furono risparmiati. Nella più ignobile estensione della violenza perpetrata ad Addis, i fascisti attaccarono l’importante monastero di Debre Libanos, i cui monaci avevano temporaneamente dato rifugio ai due eritrei che erano allora accusati da Graziani di esser stati complici nel tentativo di omicidio. Le forze italiane saccheggiarono il monastero e uccisero 449 monaci.

Gli abominevoli atti del fascismo non erano limitati alla guerra o alle successive campagne di pacificazione. Non è necessario andare oltre le riprovevoli leggi razziali del fascismo per rendersi conto della vera natura del regime. Negli anni ’30, lo stato fascista promulgò una serie di leggi che ordinavano che vi fossero alloggi separati per i locali e per i bianchi, e bandirono l’utilizzo condiviso della maggior parte degli spazi pubblici.

La separazione delle razze era presa così sul serio che ci fu un momento in cui gli italiani immaginarono perfino di spostare tutti gli etiopi fuori dalla capitale, dove intendevano vivere, facendo sì che il loro ingresso ad Addis sarebbe dovuto avvenire soltanto attraverso una serie di checkpoint definiti per scopi di sicurezza e igiene, dove sarebbero stati puliti da eventuali “parassiti corporei” e dove i loro abiti sarebbero stati “disinfettati”. Nel 1940 erano stati fatti consistenti progressi verso la realizzazione di questa visione, con 35.000 italiani che risiedevano ad Addis e 20.000 etiopi che erano stati spostati fuori dai suoi confini.

​Di nuovo, l’osservazione tagliente di Del Boca è istruttiva. Egli nota che nemmeno i Sud-Africani che portarono l’apartheid all’estremo riuscirono mai a dar luogo a una barriera così impietosa e degradante per scopi igienici e militari.

​Questo insieme di leggi razziali venne “perfezionato” nel 1939 con il passaggio di una legge che bandiva gli atti che potessero “danneggiare il prestigio della razza italiana.” Nessuna infrazione era considerata più ingiuriosa nei confronti di tale prestigio della mescolanza sessuale delle razze. Gli italiani arrivarono a inviare delle prostitute dalla madrepatria nel tentativo di stroncare sul nascere eventuali rapporti illeciti e bandirono i matrimoni interrazziali. La violazione delle leggi portava a pene così severe da includere l’incarcerazione per cinque anni.

​Queste leggi godevano del supporto dei leader e dei ideologi fascisti, alcuni dei quali deridevano sprezzantemente i tentativi di limitare l’integrazione da altre potenze coloniali, come i francesi, che intendevano assimilare un numero limitato di africani come citoyens della Repubblica Francese. I fascisti affermavano che queste azioni erano sbagliate e non facevano altro che promuovere il declino razziale.

A dispetto dei loro migliori sforzi, i rapporti amorosi tra etiopi e italiani non cessarono. Secondo alcune stime, tra il 1936 e il 1940, nacquero 10.000 bambini misti nell’Africa Orientale Italiana. Ciò sconcertò i legislatori fascisti, che non avevano ben chiaro come trattare questa prole “illegittima”— dovevano essere considerati locali o italiani? La soluzione a questo limbo legale in cui si ritrovarono i figli di razza mista fu trovata verso la fine dell’occupazione italiana. Una legge emanata nel 1940 categorizzava definitivamente i figli di razza mista come “neri.”

​Certamente, i fascisti lasciarono contributi concreti che furono usati per molto tempo dopo che essi andarono via. Tra i più importanti vi sono la costruzione di migliaia di chilometri di strade, nuovi quartieri nelle città e nella capitale, così come la prima fornitura regolare di elettricità alla capitale etiope. Altre reliquie della presenza italiana includono l’integrazione di alcune parole italiane nel lessico amarico (come quelle per le automobili e le loro parti), e il consumo diffuso di pasta, secondo soltanto alla cucina nazionale. Tuttavia, questi contributi passarono irrimediabilmente in secondo piano rispetto alle atrocità del fascismo.

La mancata presa di coscienza dell’Italia postbellica nei confronti fascismo

Molto poco dell’atroce storia del fascismo in Etiopia, e in tutta la Libia e nel resto dell’Africa Orientale, è conosciuto dagli italiani. Si pensava che l’esigenza della costruzione di uno stato italiano postbellico sarebbe stata meglio messa in atto evitando un esame critico del fascismo. La classe dirigente italiana, rappresentata dal Partito della Democrazia Cristiana, credeva che i processi nei confronti dei leader fascisti avrebbero portato a disordini sociali e rischiato di frantumare in mille pezzi la nuova repubblica. È intrigante che i tentativi di nascondere sotto il tappetto i crimini fascisti furono favoriti dal leader del Partito Comunista Italiano, Palmiro Togliatti, che ricoprì l’incarico di Ministro della Giustizia nell’Italia postbellica (una teoria vuole che fosse preoccupato del fatto che i processi dei criminali di guerra fascisti potessero portare a richieste di processi nei confronti dei partigiani di sinistra).

Il risultato finale di questa riluttanza è che nessun fascista fu mai processato per i crimini di guerra commessi in Africa. Al termine dalla guerra, Graziani fu condannato a 19 anni in prigione (ma fu rilasciato dopo aver scontato solo 4 mesi) per la sua collaborazione con i Nazisti verso la fine della Seconda Guerra Mondiale.

In questo senso, una vera e propria presa di coscienza nei confronti della storia venne sacrificata sull’altare dell’opportunità politica.

Un’altra ragione altrettanto rilevante per evitare di confrontarsi con il passato era chiara: l’orgoglio. Ancora nel 1981, i censori dello stato italiano proibirono la proiezione nei cinema del film intitolato Il leone del deserto, con Anthony Quinn, che racconta della rivolta del leader tribale Omar Mukthar contro la colonizzazione italiana, così come della sua brutale soppressione da parte degli italiani in modi simili a quelli che sarebbero stati successivamente usati in Etiopia. Giulio Andreotti, commentò che il film “danneggiava l’onore dell’esercito.”

Come risultato, l’Italia postbellica non ha mai portato avanti un esame di coscienza riguardo l’oscuro passato coloniale del fascismo. La maggioranza degli italiani resta ignara delle brutalità estere del fascismo e i libri di testo scolastici neppure le accennano, esattamente come i libri di testo scolastici giapponesi glissano sui crimini di guerra di quella nazione.

L’unico crimine di guerra fascista relativo all’Africa che portò a una discussione pubblica fu un dibattito ricorrente sul gas tossico. Alcuni tra quelli che affermavano che l’Italia si era astenuta dall’utilizzo di gas tossico erano eminenti personalità. Indro Montanelli, fervente partecipante a tali dibattiti, affermò, per la maggior parte della sua vita, che il gas tossico non fosse mai stato usato, o che qualora lo fosse stato, che il suo utilizzo fosse limitato. La base per la sua affermazione? Come giovane 26enne corrispondente di guerra, egli non aveva visto truppe fasciste indossare maschere antigas.

L’assenza di un dibattito onesto e sostenuto sull’insanguinata storia estera del fascismo, e la sua eliminazione dalla memoria collettiva degli italiani, significò che la reputazione della nazione rimase relativamente senza macchia sia agli occhi degli stranieri che degli italiani.

Anche oggi non è raro che gli italiani, venendo a conoscenza che qualcuno è etiope, somalo o eritreo, chiedano: “Quella [nazione] era nostra, vero?” Questa domanda è inevitabilmente seguita dal voler sapere se gli italiani sono apprezzati nell’Africa Orientale. La risposta, quasi sempre fornita dagli etiopi, è “sì”; ma quel “sì” non è un’espressione di nostalgia per l’occupazione, che tale richiesta di informazioni cerca di confermare in modo nemmeno troppo astuto. Gli etiopi applicano una distinzione tra gli italiani— per i quali la storia, la cultura e l’affabilità conservano la stessa passione condivisa da altri— e gli orrori perpetrati dai fascisti.

Il segno delle atrocità fasciste fu così duraturo nella coscienza etiope che ancora oggi i regimi accusati di crudeltà e di omicidi gratuiti, indipendentemente dalle proprie propensioni ideologiche, sono etichettati come “fascisti.” Un esempio classico è la dittatura militare cum-comunista che dominò l’Etiopia negli anni Settanta e Ottanta, che viene definita “fascista.”

L’ascesa del supporto ai partiti neofascisti e anti-immigrati

Mettendo in atto una decisiva rottura col suo passato, la classe politica italiana ha cercato di impegnarsi in modo più vigoroso con l’Africa, incluse quelle nazioni con cui ha un passato tortuoso. A marzo il Presidente Mattarella ha visitato l’Etiopia, e in segno di rispetto e di rimorso ha deposto una corona di fiori davanti al monumento dedicato alle vittime dell’Occupazione. Successivamente, inoltre, ha stretto la mano ai veterani etiopi novantenni, tra cui una donna, che combatterono contro gli italiani quando erano in servizio.

In un raro esempio di autocritica, seguendo la visita del Presidente, il quotidiano italiano La Stampa ha scritto che in Etiopia “gli Italiani non si dimostrarono affatto ‘brava gente’, come ci piace sentir dire dagli altri.”

Il Premier, Matteo Renzi, nei suoi primi due anni di mandato, è stato in Africa tre volte, tra cui in Etiopia. È il primo Primo Ministro italiano in carica ad aver mai visitato l’Africa sub-sahariana.

In entrambi casi, diverse motivazioni potrebbero essere state alla base dei viaggi— nel caso di Mattarella, la promozione della candidatura dell’Italia a un seggio non permanente al Concilio di Sicurezza, per Renzi, la realizzazione di accordi commerciali— ma il desiderio di forgiare una nuova partnership con l’Africa è inequivocabile. Questo impegno è sottolineato da una conferenza di livello ministeriale sull’Africa che sarà ospitata dal Ministro degli Affari Esteri italiano a maggio.

L’intenzione di tracciare un nuovo corso con il continente richiede, come punto di partenza, il riconoscimento e la comprensione delle brutalità del passato, eppure tale consapevolezza deve ancora arrivare fino al pubblico.

A dispetto della sua storia odiosa, alcuni italiani continuano a idolatrare i criminali di guerra fascisti, come manifestato chiaramente dalla recente costruzione di un mausoleo in onore di Graziani. E ancora troppi italiani restano all’oscuro della storia del fascismo in Africa.

Un’eccezione alla regola è un giovane regista italiano che risponde al nome di Valerio Ciriaci. Benché non senza difetti, Ciriaci ha diretto un documentario (If only I were that Warrior) che cerca di raccontare l’occupazione italiana dell’Etiopia e i problemi irrisolti tra le due nazioni. Ciriaci dice che la maggior parte degli italiani che ha visto il documentario non aveva mai sentito delle atrocità come il massacro di Debre Libanos, ed è sconvolta dal film.

Le tendenze pro-fasciste sono più visibili non solo nelle rievocazioni dell’esperienza italiana in Africa, ma più ampiamente nella politica, con lo spiccato aumento del supporto nei confronti dei partiti di estrema destra e della loro retorica anti-immigrati. Questi partiti sono stati, senza dubbio, aiutati dal fatto che a differenza della Germania, non c’è un’ampia moratoria sulle organizzazioni politiche fasciste. La nipote di Mussolini, infatti, che si vanta regolarmente della storia politica di suo nonno, è stata in precedenza eletta nel Parlamento Italiano, e attualmente è membro del Parlamento Europeo.

I sentimenti pro-fascisti anti-stranieri non si limitano a coloro che si trovano ai margini della politica. Non è necessario guardare oltre il supporto crescente per la Lega Nord anti-immigrati, sempre più fascista. Inizialmente un partito che chiedeva una maggiore autonomia— e in alcuni casi la secessione— per il più prospero nord dell’Italia, la Lega Nord si è trasformata in un partito bigotto di estrema destra con aspirazioni politiche nazionali.

I membri del partito tormentano immigrati e rifugiati, e hanno insultato l’ex (e unico) membro nero del governo. Il governatore della Lega Nord della regione nord-orientale del Veneto, una delle più importanti, ha proposto che agli immigrati venga impedito di lavorare nelle reception degli hotel o in altri settori dove avrebbero a che fare con i turisti, affermando che la loro sola vista potrebbe scoraggiare il turismo.

La romanticizzazione del fascismo e l’accettazione dell’estrema destra sono più diffusi di quanto potrebbe apparire a prima vista. L’accettazione del pensiero di estrema destra va oltre il 15% degli italiani che attualmente si pensa supporti la Lega Nord, ma si riflette anche nel partito di Casa Pound (che prende il nome dello scrittore americano dichiaratamente fascista, Ezra Pound), che ha suggellato un’alleanza con la Lega Nord. I neofascisti sono anche tra i membri del partito Fratelli d’Italia—Alleanza Nazionale, così come all’interno del partito dominante di destra di Silvio Berlusconi, Forza Italia.

Bisognerebbe resistere e invertire il supporto crescente degli italiani per il neofascismo e la malconsigliata bramosia di una parte ingloriosa di un glorioso passato. Un modo per fare ciò è comunicare meglio la fondamentale moralità dei rifugiati che giungono sulle coste italiane. Tuttavia è altrettanto importante informare gli italiani dell’orrenda storia del fascismo, di cui in troppi sanno troppo poco.

Una migliore conoscenza con il passato del fascismo è un importante primo passo nel persuadere gli italiani ad allontanarsi dall’estrema destra e ad avvicinarsi a politiche sui rifugiati che siano caratterizzate dall’umanità, piuttosto che dalla xenofobia. Altrimenti, per citare Del Boca, un grande numero di italiani rischia, ancora una volta, di essere portato sulla cattiva strada da una minoranza irresponsabile.

Di Fasil Amdetsion, avvocato @FasilAGM

 

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