Intervento francese in Mali: soluzione antiafricana

Per i leader africani che hanno criticato gli interventi in Costa d’Avorio e in Libia non molto tempo fa, l’avanzata della Francia in Mali deve sembrare un incubo.

Mentre i mirages francesi lasciavano le basi militari di Ndjamena in Chad e le forze speciali prendevano il volo con gli elicotteri militari da Ouagadougou in direzione Mali la scorsa settimana, molti continuavano a denunciare la mancanza di considerazione di ‘soluzioni africane per i problemi africani‘.

Una forza dell’Africa occidentale, costituita da 3400 truppe provenienti da Senegal, Benin, Togo, Niger e Burkina Faso, e guidata da un gruppo nigeriano di 900 soldati, dovrebbe unirsi allo sforzo francese all’inizio della prossima settimana [questa settimana, NdT] anche se rimangono aperte delle domande circa la loro prontezza.

Ieri il Chad ha confermato che invierà 2000 truppe – una buona notizia per la Forza Africana dato che l’esercito del Chad ha una certa esperienza in quanto a combattimenti nel deserto come quello del nord del Mali.

Nel frattempo i maliani e i leader regionali dell’Africa occidentale hanno applaudito il veloce intervento della Francia – secondo loro l’unica forza militare con sufficiente intelligence e truppe stazionanti in basi per tutta la regione e in grado di combattere i ribelli.

Il presidente provvisorio del Mali, Dioncounda Traoré, ha chiesto assistenza alla Francia giovedì 10 gennaio dopo un attacco congiunto contro la città di Konna, 700km da Bamako, portato avanti da al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), da Ansar Dine, un gruppo guidato dai Touareg, e dal Movimento per l’unità e la jihad in Africa occidentale (Mujao).

Queste forze hanno portato il caos nel nord del Mali, imponendo la legge della Sharia sugli abitanti delle città come Timbuktu, Gao e Kidal, che tradizionalmente praticano una forma moderata di Islam.

Il presidente del Benin e attuale presidente dell’Unione Africana (UA), Yayi Boni, ha detto di essere “aux anges” (entusiasta) circa l’intervento francese, tuttavia non c’è stata una reazione ufficiale dal quartier generale della UA ad Addis Abeba. Il Consiglio per la pace e la sicurezza dell’UA, che normalmente risponde molto celermente in casi simili, non è stato rintracciabile per un commento.

Ciò potrebbe essere un segno del fatto che gli stati membri dell’UA sono divisi sul problema dell’intervento militare straniero – un argomento che certamente farà parte dell’agenda del summit dell’UA in Etiopia alla fine della prossima settimana.

L’intervento francese è diventato sempre più importante fino a diventare un vero e proprio bombardamento delle basi degli islamisti in tutto il Mali e potrebbe vedere un aumento delle truppe dalle attuali 750 fino alle 2500, secondo il ministero della difesa francese.

L’occupazione del Mali settentrionale da parte degli islamisti si è verificata dopo il colpo di stato nella capitale Bamako nel marzo dell’anno scorso, che ha lasciato il governo nel caos.

Players regionali e internazionali
A quel tempo, i leader della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas) reagivano veementemente e bloccavano le frontiere col Mali per un breve periodo di tempo, impedendo qualsiasi commercio dentro e fuori del paese se non si fosse ripristinato l’ordine costituzionale.

Il presidente ivoriano e attuale presidente dell’Ecowas, Alassane Ouattara, convocava diverse riunioni per mettere insieme una forza regionale al fine di aiutare il Mali a sbarazzarsi dei gruppi islamici che occupavano il nord del paese e invocava l’aiuto internazionale per farlo.

Le Nazioni Unite (ONU), tuttavia, ordinavano agli africani d’occidente di ritornare al tavolo e chiedevano maggiori dettagli sul piano d’intervento dell’Ecowas.

Anche l’Unione Europea (UE) ha iniziato il training dei soldati maliani per riprendere il nord, ma ciò sembra essere come un tentativo troppo piccolo che arriva troppo tardi.

L’ex ministro degli esteri senegalese, Cheikh Tidjane Gadio, ha detto a Radio France International in un’intervista che “è stata una tragedia il fatto che ci siamo seduti alle riunioni mentre i jihadisti avanzavano”.

Con la risoluzione del 20 dicembre dello scorso anno (Risoluzione 2085) l’ONU ha autorizzato la forza regionale africana per il Mali ma si è stimato che la dislocazione sarebbe potuta incominciare solo a settembre di quest’anno. Questa è stata una buona notizia per Aqmi e Mujao, che, rafforzati dal possesso delle armi libiche ottenute dopo la guerra contro Muammar Gheddafi nel 2011, conquistavano Konna e probabilmente miravano all’aeroporto di Sevaré dove una forza internazionale avrebbe potuto lanciare le sue operazioni per riconquistare il nord.

Tuttavia non è stata solo la mancanza di un buon piano ad impedire l’intervento tempestivo delle forze africane che avrebbe risparmiato all’Africa l’imbarazzo di un altro intervento straniero sul suo territorio in poco meno di un anno.

Ostilità verso l’Ecowas
Chiaramente, la complessa situazione a Bamako, con il leader del colpo di stato, capitano Amadou Sanogo, che detiene ancora un potere considerevole, ha reso più difficile per l’Ecowas l’invio tempestivo degli eserciti.

Sanogo è stato apertamente ostile all’occupazione del Mali da parte dell’Ecowas e gruppi locali che hanno sostenuto il colpo di stato erano d’accordo con lui.

Inoltre, il presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, sembrava molto ottimista sui negoziati con i gruppi ribelli, in particolare con Ansar Dine, il gruppo guidato dal leader Touareg, Iyad Agh Ghali.

Al contrario, il presidente del Niger, Mahamadou Issoufou, era molto favorevole ad una soluzione militare.

Inoltre, anche l’atteggiamento recalcitrante dell’Algeria ha bloccato la decisione in favore di un rapido intervento africano. Le potenze più importanti, in particolare gli Stati Uniti, credevano che senza il sostegno dell’Algeria un intervento non avrebbe funzionato non solo perché l’Algeria confina col Mali settentrionale, ma anche perché molti dei ribelli islamisti del gruppo Aqmi provengono dall’Algeria.

In seguito all’intervento francese, l’Algeria ha deciso di chiudere le frontiere e finanche di permettere agli aerei militari francesi di attraversare il suo spazio aereo – qualcosa di imponderabile solo pochi mesi addietro.

La stampa algerina, generalmente ostile all’intervento francese, ha criticato la decisione.

Per la vittoria ci potrebbero volere mesi, anni
Gli analisti militari non sono concordi nel prevedere quanto difficile sarà la dislocazione dei gruppo Aqmi, Mujao e Ansar Dine. Alcuni sostengono che ci vorranno mesi o anche anni per cacciare 300 combattenti che hanno una certa familiarità col deserto.

Altri, principalmente fonti francesi, credono che ci potrebbero essere solo 1200 jihadisti nel Mali settentrionale. Tra questi ultimi, non tutti hanno ricevuto un’adeguata preparazione per usare l’equipaggiamento di cui dispongono.

In qualsiasi caso, gli esperti concordano sul fatto che saranno necessarie le truppe di terra dato che i ribelli hanno già iniziato a nascondersi tra la popolazione locale, usandola come scudo umano e probabilmente trascinando la fine della guerra per mesi o anche anni.

Il punto ora è se la Francia, che ha già inviato carri armati dalla Costa d’Avorio, condurrà questa guerra sul terreno o aspetterà fino a quando le forze africane non saranno organizzate a tal punto da farsi carico del compito di “stabilire l’integrità territoriale del Mali’.

Pericoli dell’intervento francese
Avendo già perso un soldato il primo giorno d’intervento e avendo già ritirato le forze armate dall’Afghanistan, sarà difficile per il presidente Francois Hollande giustificare il fatto di aver messo i soldati nuovamente sul fronte per un lungo periodo di tempo.

Anche se l’intervento è applaudito dalla classe politica a Parigi, ci sono molti rischi. Gli islamisti nel nord del Mali tengono ancora sotto sequestro otto ostaggi francesi e hanno minacciato di ucciderli se la Francia fosse intervenuta. Le famiglie degli ostaggi sono devastate, anche se Hollande ha spiegato che sconfiggere la minaccia islamista in Mali una volta per tutte è ugualmente nel loro interesse.

La Francia, inoltre, ha dato il via al piano di vigilanza contro i possibili attacchi terroristici in patria, temendo chiaramente delle rappresaglie.

Per di più, nonostante le lodi all’azione della Francia per ‘salvare’ il Mali arrivate dai partners della UE e dal segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon (l’ipotesi di avere uno stato ‘terrorista’ radicale nel cuore del Sahel contiene troppi rischi per la pace mondiale), rischia ancora una volta di essere accusato di neo-colonialismo in Africa.

Hollande ha fatto marcia indietro circa la sua promessa fatta in campagna elettorale che la Francia non agirà mai più come un poliziotto in Africa. Qualcuno potrebbe chiedere perché mai continua a mantenere quelle basi militari in Senegal, Burkina Faso, Chad e Djibouti, tra le altre, se non c’è intenzione di intervenire militarmente.

Per il momento, se chiedete al tassista maliano che la scorsa settimana guidava sventolando la bandiera francese a Bamako, vi sentirete rispondere che questa è una discussione per coloro che non devono affrontare la stessa minaccia che devono affrontare loro.

I dibattiti sul Mali per i corridoi del 20° summit dei capi di stato, i prossimi 27 e 28 gennaio, promettono di essere molto interessanti.

 

Liesl Louw-Vaudran è una giornalista freelance e una commentatrice sull’Africa francofona. E’ stata redattrice capo di The African.org presso l’Institute for Security Studies.

 

Fonte: mg.co.za

 

 

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