In Mali non c’è un problema di discriminazione

Riceviamo da Daniela Rosa di ABAREKA’ NANDREE ONLUS e pubblichiamo.

Assarid Ag Imbarcawane, deputato all’Assemblea Nazionale del Mali di origine Tuareg, è da sempre impegnato a difendere i diritti del suo popolo e a prendere posizione contro le attività dell’MNLA (Movimento per la liberazione dell’Azauad). In più di un’occasione ha denunciato sui giornali maliani i legami dell’MNLA con i gruppi terroristici e il fatto che i militanti di questo movimento siano finanziati dall’esterno, in particolare dalle potenze europee (in primis la Svizzera).

Pubblichiamo l’intervista da lui concessa a due giornalisti del quotidiano maliano “22 settembre”, al fine di fornire un diverso punto di vista sulla situazione dei Tuareg, che dall’esterno vengono descritti come un popolo discriminato ed oppresso. Sicuramente l’intervista non è del tutto obiettiva, ma può fornire interessanti spunti di riflessione.

Al di là delle questioni etniche resta un profondo interrogativo sulle sorti del popolo del Mali e sulla reale percezione dei veri responsabili di questa guerra. Ci sembra che si continui ad osannare la Francia e a non rendersi conto di cosa verrà chiesto al paese in cambio di quest’aiuto certo non disinteressato.

Esiste in Mali ciò che i media stranieri chiamano il problema Tuareg?

Il mio punto di vista è sempre stato lo stesso dal 1990 fino ad oggi: a mio parere, non c’è un problema Tuareg in Mali. Sono le posizioni prese dalla comunità internazionale che portano a pensarlo. Si parla di ribellione Tuareg, di problemi tra le popolazioni Tuareg e quelle del sud, o tra le popolazioni del nord e del sud del paese. Tutto ciò porta a fraintendere ciò che sta accadendo nel nord.

Qui i problemi non sono cominciati oggi, ma prima dell’indipendenza. Successivamente, nel 1962 vi fu una prima agitazione, (non si può nemmeno chiamare ribellione) nella regione di Kidal. Nel 1990 scoppiò una vera ribellione, a cui hanno partecipato molti giovani provenienti da tutte le parti del nord del Mali e ora quest’ultima ribellione, che è un’’invasione islamica. Per tornare alla questione Tuareg, mi limiterò a dire che i Tuareg non sono ribelli. E che non ci sono problemi di fondo tra i Tuareg e la Repubblica del Mali, tra i Tuareg e tra le popolazioni del Nord e del Sud del paese. Deve essere chiaro a tutti. Penso che abbiamo bisogno di mettere le cose nel loro contesto. Vi è un piccolo gruppo, che ogni volta si ribella, prende le armi e sostiene di parlare a nome di tutti i Tuareg. E lo fa attraverso la comunità internazionale, perché ha lobby molto forti. Questa minoranza diffonde il proprio messaggio a nome di tutti i Tuareg, sostenendo che sono in rivolta. Questo non è vero, noi Tuareg non siamo in rivolta. Potete constatarlo direttamente.

Tuttavia per la comunità internazionale, i Tuareg sono discriminati. Può raccontarci ciò che lo stato ha fatto per voi nelle regioni del nord?

Credo che il fenomeno della discriminazione, della pressione o del sentirsi oppressi dalla gente del sud sia ormai obsoleto. Era una questione sollevata dai Tuareg durante la ribellione del 1990. Hanno detto che le popolazioni del nord erano sotto-sviluppate e che non avevano gli stessi benefici di quelle del sud del Mali. È per questo che l’11 aprile 1992 abbiamo firmato un patto nazionale che dà la possibilità di attuare una discriminazione positiva verso le popolazioni del nord. Questo è ciò che è stato fatto.

Che cos’è questa discriminazione positiva?

La discriminazione positiva o azione positiva è stata l’integrazione di 3.500 giovani del nord nell’esercito, nei servizi di sicurezza, nelle funzioni pubbliche senza indire dei concorsi. Tutto ciò non è mai stato fatto in nessun luogo del mondo. Abbiamo integrato i giovani nei gradi di comandante, di capitano, di tenente, di funzionario e di dirigenti pubblici con posizioni di responsabilità. Questa è la discriminazione positiva a favore dei tuareg e per tutti gli abitanti del nord. Molte persone (non solo Tuareg) ne hanno beneficiato. L’integrazione è questo, tutti ne beneficiano. E per quanto concerne lo sviluppo, vi assicuro che dal 1992 ad oggi, i governi che si sono succeduti hanno cercato di correggere lo squilibrio tra il nord e il sud. Soprattutto nella regione di Timbuktu, Gao, Kidal, si è cercato di correggere lo squilibrio nello sviluppo; secondo la stampa nel nord sono stati investiti 1.400 miliardi. Quindi non si tratta di un problema di sviluppo.

Tuttavia i segni di questo sviluppo non sono visibili a Timbuktu, che personalmente conosco bene.

La regione di Timbuktu è stata la prima a beneficiare di un autentico sviluppo attraverso i tedeschi a partire dal 1993-1994. E’ a Timbuktu che i tedeschi hanno cominciato a costruire scuole, centri sanitari, pozzi d’acqua e molte altre cose, compresi canali d’irrigazione per la popolazione. E’ stata la prima regione a ricevere una sovvenzione dalla KFW (Cooperazione tedesca). La ribellione attuale ha arrestato un grande progetto nella regione di Timbuktu: la costruzione della strada Gomacoura Timbuktu, 500 km di strada asfaltata per migliorare lo sviluppo della regione. Oggi la regione di Timbuktu è chiusa: non si può andare direttamente a Timbuktu senza passare per Douentza e si è costretti a percorrere una strada sterrata. I ribelli hanno distrutto tutto il lavoro di costruzione della strada. Le persone che pensano di non avere ricevuto sufficienti aiuti allo sviluppo non distruggono gli strumenti di sviluppo che trovano sul territorio. Le persone che sono venute a Timbuktu hanno distrutto tutto. I ribelli sono arrivati a Niafunké, dove si trova la direzione del cantiere che sta costruendo la strada e hanno distrutto tutto. E hanno fatto la stessa cosa a Gao, la capitale dell’Impero Songhay, che ha sempre riservato una calorosa accoglienza agli stranieri. Non possono entrare nella capitale dell’Impero Songhay e distruggere tutto: edifici pubblici, scuole, banche, ospedali, cliniche. Questo è inaccettabile, è drammatico. Ciò non dovrebbe accadere tra di noi.

Com’è possibile che Timbuktu e Gao siano state saccheggiate e Kidal sia stata risparmiata?

Il giorno che avremo l’opportunità di chiederlo ai ribelli lo faremo, ma penso che sia avvenuto semplicemente perché i leader di questo movimento sono di Kidal. E’ per questo che la proteggono, a differenze di altre città. Penso che sia molto facile da capire. Considerando che si tratta di persone con un forte ideologia, dovrebbero proteggere le regioni in cui questa ideologia è diffusa, ma ciò non è avvenuto. Nessuna città al di fuori di Kidal è stata protetta, né Ansongo, né Bourem e neanche Dire, Menaka, Goundam e Niafunké. In queste città ciò che portava sviluppo è stato distrutto e io lo ritengo molto grave.

La Francia ha salvato il Mali dall’invasione islamica con l’operazione Serval. Oggi l’operazione non è finita, ma la Francia vuole ritirarsi. Qual è la sua analisi della situazione?

Non capisco niente di ciò che dice la Francia. Come possono parlare di ritiro quando l’operazione è appena iniziata? Io non riesco a capire. Il nord non è ancora stato recuperato, non è sicuro. L’esercito del Mali e quello francese sono entrati a Timbuktu e a Gao e l’esercito francese è entrato da solo a Kidal, niente di più. I dintorni di Gao e di Timbuktu non sono sicuri. Questo è il motivo per cui il MUJAO (Movimento per l’unicità e la jihad in Africa occidentale, N.d.T.) è ancora presente nella zona. Abbiamo dato loro tutto il tempo di spostarsi, disseminare il terreno di mine, fare degli attentati e attaccare le persone. Quindi penso che ci sia un profondo lavoro da fare per la sicurezza di queste regioni, prima di parlare di ritiro, prima di parlare di forze di pace. Credo che il lavoro della Francia e del Misma (Missione internazionale di sostegno al Mali, N.d.T.) vada innanzitutto svolto sul campo. Abbiamo bisogno di proteggere queste aree prima di parlare di qualsiasi altra cosa.

Sarebbe a dire che vi opponete alla partenza della Francia?

Io sono contrario alla partenza di qualsiasi forza che ci sta aiutando a garantire la pace e la sicurezza in queste regioni. I francesi sono quelli che ci hanno salvato dal disastro, quindi non dovrebbero lasciare il paese. Penso che non sia ancora il momento per una partenza così rapida. Io mi fido del Misma.

Si parla anche di un dialogo politico con l’MNLA. Condivide questa opinione?

Il Presidente del Mali non ha parlato di un dialogo sistematico. Le cose vanno viste nel loro contesto. Ha chiarito che probabilmente si può dialogare con l’MNLA se depone le armi, afferma che il Mali è una Repubblica una e indivisibile ed accetta la laicità del nostro paese. A questo punto, possiamo cominciare a dialogare. Questo è ciò che ha detto il Presidente. Non ha detto di più. Non vuole parlare con un MNLA armato che sta coabitando con i francesi a Kidal e che occupa Menaka.

Come si può comprendere la coesistenza dei francesi, nostri liberatori, con i nostri aggressori dell’MNLA?

Questa convivenza è puramente politica. Condividiamo con la Francia un grave problema, quello degli ostaggi. I francesi hanno i loro ostaggi in questa zona. Speriamo che siano tutti rilasciati sani e salvi. Ciò che sta accadendo a Kidal è un fatto puramente politico. Non credo che la posizione della Francia sia di permettere all’MNLA di gravitare intorno allo stato del Mali. La posizione della Francia è molto chiara: è necessario ottenere il totale ripristino dell’integrità territoriale della Repubblica del Mali, la laicità del paese e l’organizzazione di elezioni libere, trasparenti e credibili. Questa è la posizione della Francia e non è cambiata.

Per tornare ai negoziati, se l’MNLA accetta le condizioni di cui parlava, si può avviare una trattativa? E’ necessario integrare i suoi membri nell’esercito e nel servizio civile?

Devo ammettere che non ci ho ancora pensato. Tutto ciò che voi suggerite è già stato fatto. E’ necessario ripetere le stesse cose? Non penso. Abbiamo avuto il tempo di conoscerci, di sapere chi è chi e di osservare il comportamento dei nostri compagni del nord nei confronti dello Stato del Mali. La Repubblica e il popolo del Mali si sono impegnati; abbiamo cercato di creare un clima di fiducia tra tutti gli abitanti del Mali e ogni volta, siamo stati traditi da queste persone, in tutti i settori. Sapete, ho letto un’intervista con un funzionario dell’MNLA, un certo Moussa Ag Acharatmoun, un giovane. Egli ha detto molto chiaramente: “Il gruppo che è venuto dalla Libia per attaccare il Mali è costituito da 700 giovani e da veterani che sono stati integrati nell’esercito del Mali e hanno disertato per unirsi all’MNLA.” Vale a dire che ci sono molte cose da fare prima ancora di sapere quale sarà la forma della trattativa. Sarà estremamente complicato. E non è questo che mi preoccupa personalmente. E’ piuttosto la riconciliazione tra i giovani e l’MNLA (non tra i popoli del nord. Io vengo dal Nord, non ci sono problemi tra di noi), tra queste popolazioni, Ansar Eddine e il MUJAO. Sarà difficile. Questo è ciò che volevo dire.

 

Chahana Takiou et Youssouf Diallo
Traduzione dal francese di Antonella Freggiaro

 Fonte: pressenza.com/it

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