Corte EDU Strasburgo dice no a discriminazioni

La chiusura a riccio degli stati europei nei confronti degli stranieri è arrivata al punto da negare i diritti umani di base di chiunque. Non resta che il ricorso alla Corte europea dei diritti umani oppure abbandonare l’Europa al proprio triste destino di autodistruzione.

di Claudia Moretti

Ancora un altro colpo assestato a chi vorrebbe negare assistenza sociale allo straniero con permesso di soggiorno, in nome della ragion di Stato e di bilancio.

E’ dello scorso 8 aprile la pronuncia della CEDU (Dhahbi c. Italia) che accoglie il ricorso di un cittadino tunisino regolarmente soggiornante (con permesso di lungo periodo, peraltro) che aveva richiesto all’Inps il riconoscimento del diritto all’assegno per nuclei familiari numerosi di cui all’art. 65 della legge n. 448/1998. Tale normativa, infatti, prevede che il beneficio spetti solo al cittadino italiano o europeo. Ricorrendo prima al Tribunale di Marsala, poi alla Corte d’Appello di Palermo, infine in Cassazione, ha ottenuto giustizia solo oltre frontiera.

La sentenza conferma una tendenza giurisprudenziale degli ultimi anni ad estendere l’assistenza alle famiglie anche a coloro che non risiedono da tempo in Italia, purché, ovviamente, siano regolari.

Tale tendenza trova nel Consiglio d’Europa (l’Organizzazione internazionale di cui la Cedu è espressione) il massimo promotore.

Con la Carta Sociale Europea molti diritti (o aspettative) sociali stanno penetrando nelle sentenze della Corte, ben al di là dei diritti umani per la cui tutela la stessa Corte è nata.

E mano a mano che gli Stati nazionali si chiudono a riccio contro “l’invasore” per limitare fughe di emolumenti assistenziali a “terzi”, l’Europa sembra, invece, imporre rispetto e non discriminazione per lo straniero regolarmente residente.

La contraddizione si accentua proprio nelle vicende dell’assistenza alla famiglia: proprio su questi temi la Cedu e la legislazione UE hanno chiarito che non sono ammesse discriminazioni legate alla nazionalità, ma al contempo, sono spesso gli stranieri non comunitari ad avere le famiglie più numerose e meno abbienti.

Nel caso del cittadino tunisino ricorrente, la Corte ha ravvisato la violazione degli art. 14 (non discriminazione) e 8 (rispetto della vita familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Si tratta di un percorso giuridico argomentativo già utilizzato dai giudici di Strasburgo, per agevolare la protezione dei soggetti più deboli: “se il beneficio lo concedi all’italiano, lo devi concedere allo straniero”.

L’assegno al nucleo familiare è solo uno degli emolumenti assistenziali che il legislatore nazionale ha inteso riservare agli italiani ed ai comunitari. Lo stesso vale per l’assegno di maternità di base (art. 74 d.lgs 151/2001, esclude le cittadine extracomunitarie non in possesso di un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo).

Altrettanto dicasi per la c.d. Carta acquisti sperimentale (da ultimo modificata dalla L. 99 del 9 agosto 2013).

Occorre tener presente che esiste una direttiva europea (2011/98) che introduce la procedura unica di rilascio del permesso di soggiorno degli stranieri, che è destinata ad operare al di sopra delle leggi nazionali e che fa riferimento al divieto di discriminazione in punto di sicurezza sociale.

Nel concetto di sicurezza sociale, ad oggi, secondo il diritto dell’Unione Europea (Regolamento CE n. 884/2004), vi è ricompreso ogni “prestazione familiare” ovvero quelle “prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari”.

In definitiva, se non si vuol dare adito ad un importante contenzioso, occorre che le amministrazioni ed i giudici prendano atto della cornice legale europea ove viviamo e che lo Stato si adegui presto alla legge sovranazionale.

Del resto, la sentenza Dhahbi c. Italia porta con sé un ulteriore e non più ignorabile principio: se nel giudizio interno la parte chiede il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione per probabile conflitto fra norme nazionali e sovranazionali, il giudice (ed in particolare quello di ultima istanza nel caso nostro la Cassazione) che non ritenga di effettuare tale rinvio, deve necessariamente motivare il perché, altrimenti si violano i precetti del equo processo di cui all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Fonte: migrantitorino.it

 

 

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