Amendola: «Sosteniamo la Tunisia» (l’Unità)

Ad un anno dalla strage al Museo del Bardo, la Tunisia lotta per garantire la tenuta sociale del Paese. Incontrando attori politici e protagonisti se ne percepiscono la forza e la caparbietà. Ma è il loro orgoglio che emerge, quello di chi si è liberato dalla dittatura e senza remore indica i due fronti ancora aperti: la sicurezza interna e la ripresa economica come sostegno alla transizione democratica.

Emergenze che si incrociano, generando spesso negli osservatori stranieri immotivate incertezze e paure.

Perché è proprio il diffondersi della paura il primo obiettivo dei jihadisti, di chi ha colpito al Bardo e sulla spiaggia di Sousse per allontanare, da luoghi simbolo, la presenza europea ed isolare la Tunisia.

Attentati che hanno colpito al cuore l’economia del turismo, il cui crollo (meno 2 milioni di stranieri nel 2015) ha fermato la crescita del PIL e spinto la disoccupazione al 15% con punte del 50% tra i giovani nel sud. Una flessione rischiosa, che acuisce fragilità sociali e difficoltà finanziarie a cui il governo nazionale e i donatori stranieri stanno rimediando per evitare il peggio.

Non a caso è ancora vivo il ricordo delle manifestazioni violente divampate da Kasserine, segnali di un disagio sociale pericoloso a partire dalle zone interne, quelle più povere.

E se ad ottobre scorso il mondo intero festeggiava l’assegnazione del Nobel per la Pace al Quartetto per aver creato “un processo politico pacifico in un momento in cui la Tunisia era sull’orlo della guerra civile”, ora quel sogno di libertà dagli spettri del passato, reso vivo da una Costituzione manifesto per l’intero mondo arabo, è sempre nel mirino della eversione fondamentalista.

Proprio per questo sono aumentati gli appelli lanciati dal presidente Essebsi e dal premier Essid, che hanno chiesto ai tunisini di contribuire con donazioni per sostenere la lotta al terrorismo. Lo stesso Essebsi ha versato una mensilità del suo stipendio per la causa.

Una chiamata all’unità nazionale, che arriva a pochi giorni dai sanguinosi scontri con i terroristi a Ben Guerdane, località al confine con la Libia dove le autorità stanno riprendendo il controllo.

“Sorvegliamo cinquecento chilometri di confine, ed è un lavoro doppio perché sostituiamo anche le forze libiche”, mi racconta il Ministro dell’Interno Majdoub, che spiega i risultati positivi dell’ultimo anno sull’anti-terrorismo tra Tunisia a Libia.

La Tunisia è da sempre un Paese prioritario per la Cooperazione Italiana.

Il Memorandum d’intesa sottoscritto nel 2015, ha scelto il ri-orientamento con interventi su azioni a sostegno del buon governo e della democratizzazione, e confermato gli aiuti in materia di occupazione e sviluppo socio-economico. Tra interventi a dono, credito d’aiuto e conversione del debito, l’Italia partecipa con oltre 300 milioni di euro; un forum bilaterale con il nostro Mise unirà le imprese a maggio, sulla base di quasi 5 miliardi di interscambio e con circa 800 aziende italiane operanti in Tunisia.

“Ci sono grandi progetti tra le due sponde del Mediterraneo, il più ambizioso è l’ELMED, sulla interconnessione energetica tra Tunisia e Italia, che significa interconnessione tra Europa e Africa”, mi dice Brahim, Ministro dello Sviluppo.

Una strategia amplia sostenuta dal Governo Renzi su richiesta unanime delle forze parlamentari. Un coro che dopo gli attacchi terroristici si è fatto vibrante. Ed è per questo che fanno male le ultime polemiche sulla misura – controllata e limitata nel tempo – approvata dal Parlamento europeo sull’aumento della quota di olio d’oliva dell’export tunisino.

Dispiacciono le polemiche e le levate di scudi, non solo per le reali conseguenze sui nostri mercati, ma anche per una distonia tra i ricorrenti peana sulla giovane democrazia di Tunisi e l’aiuto concreto per le zone interne del Paese, come mi ricorda il Ministro dell’Agricoltura Seddik; “il 16% delle forze attive lavora in agricoltura, che vale l’11% del PIL”.

Una misura emergenziale a cui far seguire in Europa strumenti più ambiziosi, mettendo a sistema progetti spesso non coordinati della comunità internazionale e delle istituzioni finanziarie.

Un’ipotesi per sostenere gli investimenti potrebbe essere quella di costituire un Trust Fund dedicato allo sviluppo tunisino, in cui far confluire i contributi di tutti i Paesi interessati, della Commissione europea e delle Istituzioni Internazionali.

È tempo di agire con buona pace dei demagoghi nostrani, pronti ad inveire quando il tema è terrorismo o migrazioni e poi divagare quando si discute di come aiutare “a casa loro” le nuove democrazie.

La Tunisia non può essere la linea di confine della fragilità europea, piuttosto il modello di cooperazione economica per la pacificazione nel Mediterraneo; un imperativo strategico oltre che morale, non solo per l’Italia.

 

Fonte: esteri.it

 

 

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